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Quel motto menefreghista Matteo l'ha rubato al Vate

Ogni volta che Matteo Salvini pronuncia questo slogan, la sinistra da social network si indigna e gli dà del puzzone fascista

Quel motto menefreghista Matteo l'ha rubato al Vate

«Me ne frego». Ogni volta che Matteo Salvini pronuncia questo slogan, la sinistra da social network si indigna e gli dà del puzzone fascista. Due giorni fa Salvini ha specificato ciò che dovrebbe essere noto a chiunque abbia terminato le scuole medie: «Me ne frego» è un motto reso celebre da Gabriele d'Annunzio (che sfruttava anche la variante «Me ne strafotto»). I sinistri, invece di ritirarsi a leggere il sussidiario e imparare qualcosa sull'impresa di Fiume, rincarano la dose perché a loro viene in mente solo Benito Mussolini. Il problema è tutto loro: sono male informati. Ma la cultura non era di sinistra? Boh. Possibile che questi grandi intellettuali non si siano accorti che Salvini cita sistematicamente il Vate? Non a caso si fa chiamare «Capitano» come fece d'Annunzio a Fiume. Qualche sciocco ritiene che la conquista della città sia stata un'azione nel segno del fascismo (che emetteva i primi incerti vagiti). Negli ultimi 50 anni, gli storici hanno chiarito che non è affatto così. Il fascismo prese dal sommo poeta e condottiero i metodi della propaganda. L'arringa dal balcone, l'importanza delle feste, le adunate, l'invenzione di «parole d'ordine» come appunto «Me ne frego». Il fascismo fece tesoro di questo e nient'altro come dimostra la distanza siderale del Regime dalla Carta del Carnaro, la Costituzione scritta per Fiume da d'Annunzio e dal sindacalista rivoluzionario Alceste De Ambris. È comunque divertente vedere come vengono tirati per la giacchetta gli scrittori del passato. Ieri la Repubblica proponeva un articolo bizzarro di Emilio Pasquini, il quale, con valoroso sforzo interpretativo, spiegava al volgo che Dante aveva già sbattuto i populisti all'Inferno. Roba da mandare di traverso il caffè e soffocare (dalle risate). Ma non è tutto. Pare che anche Eugenio Montale avesse previsto che saremmo finiti nelle mani di incompetenti sottomessi alla dittatura della Rete. Ma Montale avrà previsto anche Internet? Chissà. In attesa di sapere cosa ne pensa Francesco Petrarca del reddito di cittadinanza o Ludovico Ariosto della flat tax, prendiamo nota di un fatto: anche Salvini a volte gioca al gioco dei nemici di Salvini. Ad esempio, ha spiegato la sua avversione per l'Europa ricorrendo alle parole di Simone Weil: «È criminale ciò che ha come effetto quello di sradicare un essere umano». C'entra? No, perché Salvini utilizza la pensatrice come clava contro l'Unione europea. Peccato che la Weil sia morta nel 1943 quando l'Unione europea la voleva fare Adolf Hitler, a modo suo: cannonate e campi di concentramento. In passato la Lega aveva cercato di arruolare Giovannino Guareschi. Tentativo respinto con perdite. Lo scrittore padano era infatti un monarchico convinto: viva l'Italia, dunque. Spericolate, nonostante il curriculum, le manovre di annessione del premier Giuseppe Conte, che ci ha provato con il sublime Fëdor Dostoevskij, trasformandolo in populista antisistema.

Unanime il verdetto degli esperti: Dostoevskij c'entra come il cavolo a merenda.

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