Cronache

Viaggio nella provincia lombarda dove nasce il vero "made in Italy"

Viaggio nella provincia lombarda dove gli antichi laboratori di sartoria artigianale respingono la mano d'opera proveniente dall'estero e producono abiti su misura, utilizzando solo tessuti nostrani di qualità superiore

Viaggio nella provincia lombarda dove nasce il vero "made in Italy"

Sesto Calende (Varese) – Divisi da un fiume ma uniti sotto un’unica bandiera, Piemonte e Lombardia si salutano al di là del Ticino per poi darsi appuntamento sul Lago Maggiore, e agli appuntamenti importanti, si sa, è richiesto l’abito migliore, magari una bella camicia con il tricolore cucito sul petto.

Da sempre, la zona compresa tra la provincia di Novara e quella di Varese è territorio inespugnabile di artigiani della moda che difendono con l’ago e la forbice la tradizione sartoriale Made in Italy dall’invasione dei fornitori stranieri. Qui le antiche botteghe d’abbigliamento resistono alla tentazione di affidarsi alla mano d’opera d’importazione asiatica, decisamente più economica ma non qualitativamente all’altezza dei tessuti che produciamo a casa nostra. Lo sanno bene gli stilisti navigati di Arona e Castelletto Ticino, sulla sponda piemontese, o gli antichi sarti di Angera o Somma Lombardo, sul versante opposto. A Sesto Calende, piccolo comune del Varesotto, c’è un vecchio laboratorio di camiceria che dal 1976 produce camicie su misura. E quando entriamo ci sembra di tornare indietro di mezzo secolo. Si sente il ticchettio delle macchine da cucire (modelli in linea rasafilo dello storico marchio Necchi) e quel nostalgico profumo di stoffa che rimanda all’epoca dei nostri nonni, tangibile con i polpastrelli oltre che attraverso i ricordi.

Sul tavolo da piega, che occupa metà della stanza, sono sparse qua e là taglierine e forbici: la tagliatura avviene a mano, proprio come si faceva una volta quando ancora non esistevano i laser. In fondo, due presse perfettamente funzionanti, una per stirare le bluse, l’altra per plastificarle, che risalgono al secondo dopoguerra e conservate grazie a una manutenzione scrupolosa e costante. C’è anche una vaporetta industriale della Mappi, con la quale la camicia viene rifinita e incelofanata per essere consegnata al commerciante. Tutte apparecchiature originali che in questi cinquant’anni ne hanno viste di tutti i colori e di tutti i tessuti. Al timone, quattro operaie che coprono l’intero ciclo di produzione, dalla segnatura delle pezze al confezionamento della camicia. Un tempo questo laboratorio era un pastificio, trasformato in una fabbrica sartoriale per le sua pavimenta robuste in grado di reggere il peso sia dei vecchi macchinari da pasta che delle attrezzature attualmente presenti: circa un centinaio di chili ognuna.

Se negli anni Ottanta e Novanta fare camicie su misura era molto redditizio, oggi con la crisi economica e la diffusione incontrollata delle materie prime estere le vendite sono innegabilmente calate. Ma è proprio nel momento in cui il cerchio si restringe che l’offerta va posta su un binario ben preciso. E così, abbandonando progressivamente la camiceria di serie, settore in cui la concorrenza si faceva sempre più spietata e radicata sul basso costo della mano d’opera proveniente dal Sud-est asiatico, il laboratorio di Sesto Calende si è specializzato nel su misura, attingendo i tessuti da fabbriche bergamasche, bresciane e del Lago di Garda. Tutta merce italiana di alto livello, che ha il suo prezzo ma ne vale la pena. Meno quantità, più qualità e un servizio di nicchia: cifre a mano, finiture ad hoc e modelli di collo personalizzabili per tutti i gusti e per tutte le taglie. “Abbiamo avuto un cliente americano che aveva 56 centimetri di collo e 2 metri di circonferenza vita, bacino e torace", ci racconta il titolare, "gli abbiamo preparato una camicia lunga 98 centimetri, 20 in più del normale. Due miei dipendenti si sono messi all’interno e sono riusciti a chiuderla standoci dentro entrambi! Invece il cliente più piccolo in assoluto è stato un signore turco con 34 di collo e una corporatura simile a quella di un bambino di 12 anni, magrissimo e con una barba così folta che non si vedeva neanche il collo. Ma c’è stato anche un uomo con 65 di spalle, la misura più grande che io ricordi, collo 56 e 195 di circonferenza. Siamo stati costretti a lavorare addirittura su due tavoli perché il tessuto non ci stava tutto su un tavolo solo. Abbiamo una clientela internazionale, fidelizzata con gli anni. Spediamo in tutto il mondo, in particolare in Europa, e quest'anno con l’Expo è arrivato qualche acquirente in più. I nostri clienti migliori? Prima erano i giapponesi, poi hanno sofferto la crisi anche loro. Adesso abbiamo i cinesi, che vanno matti per i marchi italiani”.

Le camicie vengono distribuite in alcuni punti di vendita nel centro di Milano, tra cui la boutique Santa Margherita 7, adiacente a Piazza della Scala e allo showroom di Trussardi. “Sono del parere che, se vicino ci sono bei negozi, è tanto di guadagnato per chi ci lavora a fianco. Dunque la vicinanza a Trussardi ci stimola, anche se loro fanno un tipo di offerta diverso, però capita che il cliente prenda le scarpe da Trussardi e i pantaloni da noi. Abbiamo molti dipendenti della Scala, tra cui tanti musicisti. Ed essendo a due passi anche da Palazzo Marino, nella mia carriera ho servito diversi sindaci di Milano: Tognoli aveva delle misure complicate, Pillitteri comprava camicie e pantaloni su misura. Ho avuto anche Bettino Craxi, che andava sul semplice. Pisapia non è mai venuto, ma lo vedrei bene con il rigato. Salvini? Difficilmente diventerà sindaco e, indossando sempre le felpe, dovrei convincerlo a cambiare un po' il guardaroba: gli suggerirei un pullover o una polo”. E con i nomi della città tanto cari al leader della Lega come la mettiamo? “Al posto delle scritte gli proporrei il bottone tricolore: lo mettiamo dove vuole il cliente, ha grande successo e rispecchia la nostra filosofia Made in Italy. La qualità migliore è quella italiana.

E sono certo che Salvini sia d’accordo con me”.

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