Cronache

Niente Tav, ponti e gronde Cari cinesi, buona fortuna

Qualcuno avverta il compagno Xi. Gli spieghi, tra un ricevimento e l'altro di questi tre giorni, che tipo di governo c'è ora in Italia. Qualcuno dica al presidente della Repubblica Popolare cinese che è sbarcato nel Paese dove vogliono (...)

(...) fermare l'alta velocità ferroviaria. Annullare il progetto Tav da Torino a Lione, vale a dire dal nostro Nord verso il ponente d'Europa.

Lui che ha scelto l'Italia come tappa della Via della Seta. Lui che guida un Paese che ha puntato sulle grandi opere infrastrutturali per trasformare un'economia agricola in una potenza industriale. E che ha portato l'alta velocità ferroviaria in Cina a quota 29mila chilometri negli ultimi 12 anni. Chissà cosa penserà quando gli racconteranno che, mentre lo Stato italiano gli garantiva la scorta a cavallo - trattamento che il protocollo riserva a Re, Regine e al Papa -, il presidente francese Macron liquidava il premier italiano Conte mandandogli a dire che «non ho tempo da perdere: la Tav è un problema italo-italiano».

La Via della Seta è il progetto di mare e di terra che la Cina ha addirittura inserito nella Costituzione e che comporta un investimento da 900 miliardi di dollari per coprire 8mila chilometri e avvolgere l'Eurasia con strade, ferrovie, interscambi, rotte marittime e porti dove far correre merci e denari. Le aziende cinesi si prendono gran parte della torta, si calcola l'89%, mentre ai Paesi attraversati e a società internazionali rimane il resto. In questa rete l'Italia è strategica solo a una condizione: che i container che sbucano nel Mediterraneo dal Canale di Suez trovino un porto vicino sulle nostre coste. Un approdo che gli consenta di distribuire le loro merci verso il resto d'Europa risparmiando 3-4 giorni di navigazione rispetto al passaggio da Gibilterra verso un porto come Rotterdam. E questa condizione ne implica un'altra, subordinata: che nei nostri porti arrivino strade e ferrovie interconnesse con i corridoi europei, per proseguire il viaggio verso nord, ovest ed est senza perdere il vantaggio temporale competitivo. In altre parole: se una nave della China Ocean Shipping Company scarica a Trieste, ma lì trova il ministro dei Trasporti Toninelli che fa salire le merci su una littorina, allora è stato tutto inutile.

Forse i cinesi non sanno che il no alla Tav non è ideologico per i Cinque Stelle. Bensì, come dicono loro stessi, è una «questione identitaria». E come si può pensare di diventare l'anello mancante della Via della Seta con questi presupposti? Anche perché non si tratta del capriccio della Torino-Lione. C'è una sfilza di altri esempi sull'atteggiamento del primo partito di governo verso le infrastrutture.

A Genova, l'altro grande porto interessato all'operazione, il Movimento 5S è da anni contrario al progetto della Gronda, la bretella autostradale che dovrebbe alleggerire il caos del traffico cittadino permettendo a quello pesante di scorrere rapidamente. E, nonostante il crollo del ponte Morandi, Toninelli non ha inserito l'opera tra i cantieri da sbloccare. Ancora a Genova, il progetto cinese per il porto prevede una diga «foranea» che avanzi nel mare per 500 metri, sulla quale le barricate dei grillini sono alte da sempre. Dall'altra parte del Paese, a Trieste, le comunicazioni restano lente e scarse. Per arrivarci da Milano, 450 chilometri circa, occorrono 4 ore e mezzo di treno: l'alta velocità che parte dal capoluogo lombardo finisce già a Brescia, perché i lavori per il tratto fino a Padova sono stati dimenticati e tuttora non sono considerati strategici.

La Via della Seta deve il suo nome al prezioso tessuto che almeno dal primo secolo avanti Cristo iniziò ad arrivare in Occidente. A nessuno, allora, sarebbe mai venuto in mente di rallentarla. O, addirittura, di fermarla. Ecco: scegliendo di passare per l'Italia del governo gialloverde i cinesi hanno deciso di correre questo rischio. Inverosimile, ma concreto.

Marcello Zacché

Commenti