Cronache

"Noi che andiamo avanti anche per aiutare lo Stato"

Altro che polemica sui crolli, operai e imprenditori uniti dalla voglia di ricominciare. E indignati con la Camusso: "Coltiva l’ignoranza"

"Noi che andiamo avanti anche per aiutare lo Stato"

Salah è un marocchino alto e magro, con le spalle larghe e le mani nere, quello che ci vuole per la fonderia. Al titolare della Fgt, Diego Forni, sporco come lui, dà del tu. È al lavoro nel capannone di Dosso, frazione di Sant’Agostino, epicentro della prima ondata di tragedie: due morti alle ceramiche un chilometro più avanti, un terzo alla Tecopress, 300 metri prima. Si trovava in fonderia anche l’altra mattina, quando altri 10 operai hanno perso la vita in diverse industrie della zona. «Stavamo mettendo in sicurezza un forno. Sono scappato a casa per vedere i bambini perché i telefoni non funzionavano - racconta in un buon italiano - poi sono tornato. Diego si era già rivestito. Ma non potevamo lasciare il lavoro a metà, sarebbe un danno maggiore. Si è rimesso la tuta e abbiamo ricominciato». L’imprenditore lo incalza: «Dì se qualcuno ti ha obbligato». «Nessuno, ho deciso io». «Lo ripeteresti alla Camusso?». «Sicuro, ma chi è la Camusso?».

Forni è uno degli irriducibili imprenditori terremotati che cerca di ripartire. Con la sorella ha ereditato dal padre un gioiellino della metallurgia, 11 dipendenti e due milioni di fatturato negli anni d’oro. Il sisma ha risparmiato il capannone con il reparto di fusione, ma il magazzino ha un settore totalmente inagibile e un altro agibile solo in parte: così hanno stabilito due ispezioni dei vigili del fuoco con i tecnici del comune. «L’altra mattina la fabbrica si muoveva come un serpente», dice Forni. È presto per riprendere a colare l’alluminio, «anche se saremmo pieni di lavoro. Rimettiamo a posto, cerchiamo di tenere su il morale». E se capita un’altra scossa? «Scapperemo ancora con un nodo alla gola, ma non possiamo restare fermi. Il mondo va avanti, non aspetta noi».

I morti sul lavoro non fermano gli imprenditori. Chi può riapre uffici e capannoni almeno per mettere in ordine. Tempestano di telefonate uffici comunali e pompieri per i controlli sulla stabilità. Tutti sono indignati dalle polemiche scatenate dai sindacalisti che accusano i «padroni» di aver schiavizzato i dipendenti. «Non accetto una graduatoria dei morti né l’insinuazione che gli imprenditori sono fuggiti», protesta Carlo Alberto Rossi, segretario di Confartigianato Modena che vive proprio a San Felice sul Panaro, il paese dove due operai schiacciati dal capannone della fabbrica Meta sarebbero stati costretti a lavorare. «Non è vero che le cose sono state fatte male - aggiunge Rossi -. Ripartire era ed è un dovere anche se ora sarà più lungo e difficile».

A Sant’Agostino sono parecchie le ditte in attività. Dagli uffici della Sefra Meccanica si vede l’immenso deposito distrutto delle Ceramiche Sant’Agostino. La Sefra, 48 dipendenti, ha avuto danni irreparabili in uno solo dei due capannoni produttivi. Spiegano i titolari Stefano Tolomelli e Paolo Bianchi: «Sabato e domenica abbiamo traslocato una delle nostre attività, la fabbrica di protezioni per macchine utensili, in un capannone di Cento preso in affitto di corsa. Qui è rimasta la carpenteria per le gru idrauliche».

I computer conservano i video delle telecamere di sicurezza che documentano da varie angolazioni il sisma notturno. Avete fatto tutto in sicurezza? «Assolutamente. I periti sono venuti anche ieri mattina, i macchinari sono intatti e la struttura edile antisismica ha tenuto». Avete obbligato qualcuno? «Abbiamo fatto il trasloco con chi se la sentiva. Anche i dipendenti sanno che non si può perdere tempo. Se le aziende falliscono s’interrompe la catena: stipendi bloccati, fornitori non pagati, niente più reddito, e niente tasse per lo stato. Quello che Monti dovrebbe capire è che se non ci aiuta, ci perde anche lui. Per questo il governo deve aiutare le nostre aziende a ripartire. Devono rimboccarsi le maniche come facciamo noi».

«Le parole della Camusso sono vergognose, dette per coltivare l’ignoranza della gente - sbotta Diego Forni -. Per un imprenditore un buon collaboratore è un valore inestimabile. Io stesso mi considero un dipendente perché il lavoro di squadra è il patrimonio delle piccole e medie imprese italiane. Sanno i sindacalisti quanto tempo e quante risorse occorrono per formare un bravo operaio? Noi non siamo né pazzi né delinquenti che mettono a rischio la sicurezza di chi lavora con noi. E questi marocchini sono pure più intelligenti di me perché parlano più lingue. Ho altri quattro anni di mutuo su questi capannoni. Investirò in misure di sicurezza un finanziamento che era destinato ad allargare la produzione. Faccio un passo indietro perché sono un imprenditore, non un martire. Ma il governo deve sostenere di più i nostri sforzi. Io pago tutte le tasse, perciò sono un cliente dello stato.

E l’economista Monti dovrebbe sapere che i clienti vanno trattati bene».

Commenti