Cronache

Ora sono i bengalesi i signori del terrore. L'Italia rischia grosso

L'antiterrorismo sta controllando gli ambienti bengalesi più radicali nel timore che possano nascondere potenziali jihadisti

Ora sono i bengalesi i signori del terrore. L'Italia rischia grosso

L'antiterrorismo monitora ambienti islamisti bengalesi a Milano. Lo scorso anno un seguace in rete dell'Isis - residente a Grado ma proveniente dal Bangladesh - è stato espulso dal Viminale «per motivi di sicurezza nazionale». Il terrorista di New York è il bengalese Akayed Ullah, ma pure il sospetto arrestato in Inghilterra, la scorsa settimana, Naaimur Zakariyah Rahman, veniva dal Bangladesh. Il suo obiettivo era assassinare il premier britannico Theresa May.
A Milano esiste una costola islamista bengalese legata alla Jamat-e-Islami, una specie di Fratellanza musulmana che tende all'estremismo salafita. L'antiterrorismo sta controllando gli ambienti bengalesi più radicali nel timore che possano nascondere potenziali jihadisti. Il problema è accentuato dall'aumento di quest'anno degli arrivi di bengalesi con i barconi dalla Libia (quasi 9mila fino a dicembre). Le autorità di Tripoli hanno scoperto che i migranti comprano un «pacchetto completo», con tanto di viaggio in aereo da Dacca al Sudan o a Tripoli via Emirati Arabi Uniti o Turchia. Il viaggio è garantito grazie a falsi permessi di lavoro a 5-6mila euro. A Milano la «faccia presentabile» della comunità Abu Hanif Patwery è «un finto moderato» secondo gli addetti ai lavori. Sotto la sua regia i bengalesi hanno manifestato per le vie del capoluogo lombardo a favore dei «fratelli» giustiziati o in carcere a Dacca. Patwery ha difeso a spada tratta, in rete, Delwar Hossain Sayeedi, vicepresidente del Jamaat-e-Islami condannato all'ergastolo per crimini contro l'umanità durante la secessione dal Pakistan del 1971. E definito «eroe» Abdul Quader Molla, altro leader islamico, giustiziato per gli stessi crimini. «A Milano sono presenti gruppi islamisti bengalesi e alcuni leader della comunità hanno accusato il governo di Dacca della strage di turisti, compresi 9 italiani, in realtà perpetrata dai terroristi dell'Isis il primo luglio dello scorso anno», sottolinea Giovanni Giacalone analista del fenomeno jihadista. In passato lo stesso Patwery aveva pubblicato post di chiara ispirazione radicale sul proprio profilo Facebook. Adesso cavalca il dramma dei profughi musulmani Rohingya massacrati dall'esercito birmano organizzando nuovi cortei a Milano. Durante le manifestazioni non mancano slogan contro il governo bengalese bollato come «kafir», miscredente, per la sua impostazione laica. Non solo: Patwery posta manifesti sostenendo che i musulmani vengono uccisi «dai terroristi buddisti in Birmania», «dai cristiani in Afghanistan» e «dagli ebrei in Palestina». Un'associazione bengalese aveva ottenuto dal Comune una delle aree per la costruzione di uno moschea, poi bloccata.
Il campanello d'allarme suona il 27 giugno dello scorso anno quando viene espulso il bengalese Mahamud Hasan. Il sospetto jihadista gestiva un negozio di bigiotteria a Grado, località balneare del Friuli-Venezia Giulia.

«In base ad attente indagini - spiegano dal Viminale - è stato accertato che, utilizzando una identità fittizia, aveva pubblicato testi sull'Isis ed era segnalato quale utente di social network con manifeste simpatie per l'organizzazione terroristica».

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