Coronavirus

Palù: "Altro che immunità di gregge, il 90% ancora esposto al virus"

Il coronavirus è circolato in maniera diversa in Italia e circa nove italiani su dieci non ne hanno avuto a che fare: ecco perché secondo il virologo Giorgio Palù non ha senso parlare di immunità di gregge e perché il Covid pare essere destinato a rimanere con noi ancora a lungo

Palù: "Altro che immunità di gregge, il 90% ancora esposto al virus"

"Sappiamo che il coronavirus ha molte caratteristiche molecolari che lo fanno trovare bene nella specie umana: si tratta perciò di un virus che probabilmente sarà destinato a rimanere con noi per lungo tempo", ci spiega Giorgio Palù, presidente uscente della Società Europea di Virologia. ilGiornale.it ha contattato il professore e membro della task force del Veneto contro il Covid-19 per fare il punto sull’andamento dell’epidemia-pandemia, che sta calando di volume. Ma guai - dice - ad abbassare la guardia. Soprattutto perché, "il 90% degli italiani non ha avuto a che fare con il virus e questo vuol dire che non ha senso parlare di immunità di gregge".

Il 4 maggio il primo tempo della Fase 2, dal 18 il secondo tempo: professore, facciamo il punto sulla pandemia di coronavirus?
"Questo è un virus del tutto nuovo, perciò è inutile avventurarsi in previsioni e fare i santoni. Sappiamo che in tutt’Italia il numero riproduttivo basale del virus sta scendendo: è molto basso nel centro-Sud, dove l’R0 è 0,1/0,2, mentre è più alto nel Nord, dove l’R0 è sullo 0,4/0,5 e appena sotto l’uno in Lombardia. A proposito dell'"erre con zero" ci sono fluttuazioni dei numeri che stanno a indicare come la Fase 2 e il futuro dipendendo da tre fattori..."

Quali sono?
"In primis, il numero degli infettati nel Paese, che grazie al cielo sta diminuendo. Poi, il tempo di duplicazione del virus da quando viene albergato come forma infettiva: la costante, rappresentata da quattro-cinque giorni di incubazione, non è variata. Infine, il numero dei contatti, che è invece cambiato sensibilmente. Il primo release del lockdown lo abbiamo avuto il 4 maggio e il secondo, sostanzialmente completo, da lunedì 18: i contatti sono aumentati e il rischio che i contagi possano risalire esiste, ma al momento, dopo due settimane di riapertura, di incrementi non ne abbiamo. Certo, in Piemonte, Lombardia e Molise ci sono oscillazioni, ma non sono eccessive e sono dovute a casi contenuti e circoscritti"

Quindi possiamo essere (moderatamente) ottimisti?
"Stiamo a vedere, è inutile formulare previsioni azzardate. Sappiamo che tutti i virus respiratori e i relativi contagi si mitigano nel periodo estivo. Certo, non è noto come si comporterà il coronavirus, ma speriamo sia così: se la tendenza è quella di queste due settimane, aspettiamo con pazienza a prudenza che i numeri arrivino allo zero. C’è una cosa però che sappiamo e che è bene tenere a mente..."

Quale?
"Sappiamo che il coronavirus ha molte caratteristiche molecolari che lo fanno trovare bene nella specie umana: insomma, si tratta di un virus che probabilmente sarà destinato a rimanere con noi per lungo tempo, perciò il rischio di piccoli focolai sparsi in futuro è esistente"

Ecco, ma qual è lo scenario se dovesse ripartire il contagio? Ha senso parlare di immunità di gregge?
"Allora, dagli esami sierologici sappiamo che oltre il 90% della popolazione italiana è ancora esposta al virus, dal momento che è circolato molto in alcune regioni, poco in altre e praticamente zero in altre ancora. Questo vuol dire che più del 90% degli italiani non hanno avuto a che fare con il virus e questo vuol dire che, no, non ha senso parlare di immunità di gregge: ne siamo lontanissimi"

Qual è allora il punto chiave a livello di prevenzione e difesa dal Covid?
"Oltre a tutto il discorso di buon senso su mascherine e distanziamento sociale, secondo il mio parere le regioni dovrebbero essere in grado di riuscire a tracciare immediatamente i contatti e gli asintomatici. Questo significa che se c’è un caso positivo, le autorità regionali devono avere un’anagrafe di chi ha ripreso il lavoro, chi è positivo, quali e quanti test e tamponi sono stati fatti, compreso l’esame degli anticorpi"

Insomma, un controllo capillare del territorio
"Esatto, una tracciabilità tale e così sviluppata da arrivare a livello di quartiere e di condomino. In questo modo si riuscirà a mettere subito in quarantena in casa i contatti, anche asintomatici, primari, secondari e terziari dei casi positivi. Solo in questo modo potremo non saturare nuovamente gli ospedali e i reparti di rianimazione e di terapia intensiva. In questi mesi abbiamo imparato qualcosa e non siamo al punto zero: abbiamo imparato a trattare questi pazienti e abbiamo capito che questo virus è altamente contagioso e che per mortalità si colloca a metà tra il coronavirus del raffreddore e il coronavirus della Sars, che però aveva solo ottomila contagi. E ancora, sappiamo che se un individuo positivo lo supera, lo combatte con efficacia nella prima settimana grazie al sistema immunitario, anche senza bisogno di produrre anticorpi"

Se non si risolve rapidamente, però, l’infezione prende il largo.
"Già, dalle vie respiratorie superiori passa a quelle inferiori e con l’apparato circolatorio va in giro. Ma si può curare. Ovviamente, la priorità è la prevenzione, mantenendo alta la guardia e identificando quanto prima i contatti dei positivi, anche gli asintomatici"

Per chiudere, cosa ne pensa del plasma dei guariti dal Covid-19 come cura per chi ha contratto il virus?
"Ci vuole prudenza, perché non c’è ancora uno studio clinico controllato su questa terapia che dia il suggello del metodo scientifico.

Però questa cura, peraltro già adottata dai cinesi, sta dando risultati positivi".

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