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Il Papa e il Patriarca difendono il matrimonio tra uomo e donna

Giù il muro di incomprensioni tra Roma e Mosca. Un gesto simbolico contro l'indifferenza verso gli orrori che accadono in Siria e Iraq. E un messaggio all'islam dilaniato dalle divisioni

Il Papa e il Patriarca difendono il matrimonio tra uomo e donna

Questo incontro è un bagliore di luce improvvisa, un cielo che si apre. Poche storie, al diavolo lo scetticismo: è così. Non sta accadendo niente di buono, su nessun palcoscenico della vita mondiale. Ed ecco che i nostri due uomini all'Avana ci hanno regalato un forte raggio di sole. Il Papa di Roma e il Patriarca di Mosca fanno intendere che c'è di mezzo qualcosa di più della loro volontà: un dono, Dio che si muove, che pacifica. Speriamo. Molto ora dipende dall'uso di questo avvenimento. E si vedrà.Di certo, è necessario accostarsi ad eventi di questa portata purificando lo sguardo, a costo di essere ingenui. Per veder bene, bisogna salire sul sicomoro come Zaccheo, che aspettava grandi cose dal passaggio di quell'uomo di Nazaret. Per una volta bisogna buttare via gli occhiali della ideologia e sollevarsi un po' dalla politica, che certo è fatta di summit, vertici, ma qui è di più. Non serve avere dimestichezza con l'incenso e le candele, ed entrare nella mistica, per cogliere il valore spirituale ed universale dei segni; c'è una formula del grande semiologo strutturalista Roland Barthes che soccorre tutti, anche gli atei: «tempo vibrato».

A Cuba ieri sera è accaduto qualcosa che riguarda le viscere della storia.Non conosciamo le parole che si sono detti a tu per tu, nella saletta dell'aeroporto dell'Avana, Francesco e Cirillo (il Papa lo ha chiamato così, trasformando Kirill in un nome più dolce). Glielo chiederanno i giornalisti, e i due, specie Francesco che non resiste al microfono, lo riferiranno, e di quel dialogo se ne faranno analisi politiche e teologiche, come del resto si provvederà immediatamente a fare l'esame del sangue al documento sottoscritto da entrambi. E le faremo anche noi, ovvio. Un attimo però.Stavolta a tutti è chiesto di andare più in profondità. Non sono le parole, ma gli atti a pesare di più. Vangelo vuol dire letteralmente buona notizia, e le notizie, dice il manuale del giornalismo, sono il racconto di fatti che riguardano il destino di molti. I fatti prima che la trascrizione di discorsi.

Questo ritrovarsi a Cuba di Francesco e Kirill dice moltissimo sul nostro futuro possibile. È in sé un bagliore rischiarante, che viene prima di equilibri politici e sintesi confessionali. Quella luce ci riguarda, credenti o no. In un mondo frantumato, un filo d'oro lega improvvisamente Oriente e Occidente. Spezza il muro di incomprensione che dura da un millennio tra Roma e Mosca, ma non è solo un fatto epocale, da osservare come l'incontro di due continenti che si erano separati. È un suggerimento per la vita dei popoli, ma anche e non in grado minore di ciascuna persona. A Cuba, tra questi due uomini che hanno negli archivi delle loro dimore documenti carichi di rancore, ha prevalso una volontà potente di riconciliazione. Cristo, che per secoli è stato oggetto più di contesa che di comunione, getta le reti di nuovo dopo duemila anni per pescare uomini e la loro pace, per mezzo di Pietro (il vescovo di Roma) e di Andrea (patrono dell'Ortodossia).

Mai come questo nuovo millennio che i sociologi prevedevano essere quello della fine delle religioni, le ha invece elette a protagoniste della storia. Ne stiamo prendendo atto dall'11 settembre del 2001. E lì la religione, usata come movente per giustificare odio e assassinio, si è colorata di lutto e guerra.Oggi si tratta di decidere su questo punto: c'è bisogno di più Cristo o è meglio levarlo dalle pareti della vita pubblica per sopravvivere o, persino, per sperare in un grande bene non tanto nell'aldilà, ma adesso?Francesco e Kirill hanno risposto. Mentre l'islam vive una lotta ferocissima al suo interno, dove sunniti e sciiti si divorano, ecco che dalla parte del Crocifisso viene un annuncio di riconciliazione, e si allarga oltre i confini dello loro Chiese. I nostri due uomini all'Avana hanno raccolto l'invito non di teologi ecumenici, ma di grido altissimo. Chi chiama cattolici e ortodossi alla piena unità, tagliando corto con dispute di potere e di primato, è la testimonianza che sgorga dal sacrificio dei cristiani perseguitati. Il sangue e la sofferenza di ortodossi, cattolici, copti, armeni in Siria e in Irak, in Nigeria e in Pakistan si è già unito in un solo fiume. Sarà bene che non finisca nei tombini della storia, ma possa far vibrare la nostra indifferenza.L'incontro di Francesco e Kirill ci parla di tutte queste cose.

Ripropone una vecchia e sempre nuova domanda di Dostoevskij, che oggi idealmente era invitato a Cuba: «Un uomo colto, un europeo dei nostri giorni può credere, credere proprio, alla divinità del figlio di Dio, Gesù Cristo?».

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