Cronache

Il Pd tortura De Gennaro per prendersi Finmeccanica

Dopo la condanna di Strasburgo sul G8, il presidente Orfini attacca l'ex capo della Polizia oggi numero uno del colosso: "Vergognosa la sua nomina". E anche Fini scarica gli agenti

Il Pd tortura De Gennaro per prendersi Finmeccanica

Che cos'è un tradimento in politica? Nulla, perché l'arte del governo presuppone repentini mutamenti di opinione, strumentali e ipocrite dichiarazioni e puntuali disconoscimenti di coloro che un tempo si potevano considerare amici. Quello che hanno fatto ieri il presidente del Partito democratico, Matteo Orfini, e l'ex leader di An, Gianfranco Fini (avvezzo ai machiavellismi) è solo politica. Anche se della peggior specie in quanto giocata sulla pelle dei difensori dell'ordine pubblico al G8 del 2001, scambiati per carnefici e non per vittime quali furono.

Ecco, tutto questo gioco ha una sola posta in palio: la guida di Finmeccanica, il gruppo a maggioranza pubblica del settore aerospazio e difesa guidato dall'ex capo della Polizia, Gianni De Gennaro. Una poltrona ambita che l'ex discepolo di D'Alema è tornato a mettere in discussione con la scusa della giustizia. «Lo dissi quando fu nominato e lo ripeto oggi dopo la sentenza. Trovo vergognoso che De Gennaro sia presidente di Finmeccanica», ha scritto Matteo Orfini ieri su Twitter dando la stura a una catena di risentimenti nei confronto di un onorato servitore dello Stato. Il quale fu insediato nel suo attuale incarico dall'ex presidente della Repubblica, Giorgio Napolitano, che dello stesso partito di Orfini fa parte.

Ecco, è solo un bieco regolamento di conti. Nel quale, però, tutti sguazzano per avere un briciolo di visibilità. Come gli ormai negletti deputati del Movimento 5 Stelle. «La risposta per chi governa un Paese - affermano - è avere il coraggio, o più semplicemente il senso del pudore, di rimuovere dalla presidenza di Finmeccanica De Gennaro, fra i principali protagonisti dei fatti della Diaz». La stessa cosa l'ha detto l'ex capogruppo grillino al Senato, Nicola Morra. «Non può rappresentare l'Italia dopo la condanna di Strasburgo: ne prenda atto e si dimetta subito». Orfini? «Chiami Renzi e risolva il problema», sintetizza Nicola Fratoianni, coordinatore nazionale di Sel.

No, non è più una questione di stabilire se sia opportuno o meno introdurre il reato di tortura nel codice penale. È solo politica politicante. Il presidente del Consiglio nel merito ha taciuto pur osservando che «quello che dobbiamo dire lo dobbiamo dire in Parlamento con il resto di tortura: questa è la risposta di chi rappresenta un Paese». In silenzio pure i suoi principali alleati di governo. Eppure il deputato di Forza Italia, Pietro Laffranco l'ha sollecitato. «Renzi dica pubblicamente se è d'accordo con il presidente del suo partito oppure con se stesso, visto che solo qualche mese fa ha confermato De Gennaro», ha chiesto in una nota.

Per una volta tanto il centrodestra s'è ritrovato unito. «Le forze dell'ordine non meritano un nuovo processo mediatico ingeneroso. Non si può demonizzare chi ogni giorno mette a rischio la propria vita», ha sottolineato Daniela Santanchè. «Sembrava ci fosse in atto una vera e propria guerra contro lo Stato. Su questo nessuno ha niente da dire?», ha evidenziato Mara Carfagna. «Ci opporremo, a chiunque voglia demonizzare le nostre forze dell'ordine», le ha fatto eco la portavoce di Ncd, Valentina Castaldini.

Ben altro discorso, invece, quello che riguarda l'ex presidente della Camera Gianfranco Fini. «Alla Diaz - ha dichiarato ieri alla Stampa - vi furono atti di violenza inaudita, da Stato di polizia più che da Stato democratico. Gli eccessi sono stati accertati, andavano puniti». Poliziotti cattivoni contro black bloc mansueti. È andata proprio così quella storia, riscriverla aiuta a uscire dall'oblio anche se una volta ancora sono stati traditi gli «amici» di un tempo. Proprio lui che come vicepresidente del Consiglio e ministro degli Esteri era a Genova in quei giorni (anche se senza compiti operativi). Proprio lui, l'erede della Fiamma che puntava su «legge e ordine».

La politica è questa: il tradimento non può esistere perché è il suo pane quotidiano.

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