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"Porte aperte alle aziende spolpate dal fisco e ai pensionati"

Tagli di Iva, Imu, Irpef e tasse sulle merci. Così la Sardegna si prepara a diventare un porto franco

"Porte aperte alle aziende spolpate dal fisco e ai pensionati"

Il paradiso fiscale tricolore sarebbe qui, a portata di traghetto, in mezzo al Mediterraneo, pronto a tagliare Iva, Imu, accise, dazi, Irpef, cedolari sulle aziende. Non è lontano come i Caraibi, non ha come sfondo le montagne di Livigno né il malinconico lungolago di Campione d'Italia. L'isola del tesoro è la Sardegna. Lo statuto speciale approvato nel 1948 garantisce, all'articolo 12, che «saranno istituiti nella regione punti franchi»; il decreto legislativo 75 del 10 marzo 1998 ne disciplina l'istituzione; la legge regionale 20 del 2 agosto 2013 (giunta Cappellacci di centrodestra) detta «Norme urgenti per l'attuazione e il funzionamento delle zone franche istituite nella Regione autonoma» in base al decreto di quindici anni prima. E una dichiarazione allegata al Trattato europeo di Lisbona del 2007, che ne costituisce un'interpretazione autentica, sancisce che qualora venga istituito un porto franco in un'isola, l'area esentasse «debba includere l'isola nella sua interezza» e non solo nel lembo designato e aree industriali connesse.

Insomma, la Sardegna avrebbe le carte in regola per diventare un'enorme zona «tax free» capace di attirare aziende spolpate dal fisco, pensionati che non vogliono espatriare alle Canarie o in Bulgaria per campare decentemente, importatori che potrebbero sdoganare le merci a Cagliari invece che ad Anversa o Rotterdam, ricconi che prediligono Porto Cervo a Montecarlo. «La legge è dalla nostra parte», garantisce Maria Rosaria Randaccio, intendente di finanza in pensione che da anni gira l'isola, con avvocati e fiscalisti, per convincere gli amministratori locali e ha trovato in Maria Antonietta Uras, sindaca di Giave (Sassari), la pasionaria che mancava.

La guerra alle tasse passa anche per i dazi, come mostra Donald Trump, e per le accise, che uno come Matteo Salvini vorrebbe abolire, almeno in parte. In Sardegna c'è chi gli spiana la strada. I sardi non sono gli unici a rivendicare zone di libero scambio. In Sicilia da tre anni è fermo un disegno di legge regionale per istituire zone franche montane su Madonie, Nebrodi, Iblei e altri territori interni, proprio per sfruttare la «fiscalità di sviluppo» in aree svantaggiate. Il governo Gentiloni ha risposto introducendo, con il decreto Sud dell'estate 2017, le Zone economiche speciali che prevedono sgravi, agevolazioni e procedure semplificate sull'esempio di 2.700 località nel mondo.

Una novantina di esse si trovano nei Paesi dell'Unione europea; 14 nella sola Polonia dove, per esempio, sono in vigore consistenti esenzioni fiscali e cospicui crediti d'imposta. Di fatto le Zes non sono ancora partite: il regolamento attuativo è entrato in vigore soltanto il 27 febbraio. La scommessa delle zone franche sarde, delle zone montane siciliane e delle Zes, quando cominceranno a funzionare, è la stessa: attirare investimenti, soprattutto dall'estero, e creare lavoro che possano ripagare il mancato gettito tributario e riavviare lo sviluppo dell'economia.

AGGANCIARE LA RIPRESA

La Sardegna resta convinta che la zona franca sia la strada più veloce ed efficace per agganciare il treno della ripresa. Sono già 283 su 377, a quanto dicono gli zonafranchisti, i comuni isolani che hanno approvato delibere per aderire allo spazio di libero scambio extradoganale: tre su quattro, un'enormità. Del resto, il richiamo della fiscalità di vantaggio è fortissimo. Pensionati e dipendenti pubblici non pagherebbero più l'Irpef e potrebbero chiedere il rimborso delle imposte sul reddito versate dal 2013. Residenti e turisti non pagherebbero l'Iva su beni e servizi né le accise su bollette elettriche, tabacchi, alcolici e carburanti: 72,84 centesimi per ogni litro di benzina.

Le aziende che decidessero di investire nell'isola portandovi la sede fiscale sarebbero autorizzate a trattenere l'equivalente dei contributi previdenziali e assicurativi (il cosiddetto cuneo fiscale) perché compensati dallo Stato. Anche gli utili d'impresa e gli investimenti finanziari godrebbero di una ritenuta molto bassa mentre le aziende private risparmierebbero l'Imu sugli immobili industriali e turistici. «La flat tax nei fatti sarebbe già servita - dice Maria Rosaria Randaccio -. La zona franca in Sardegna significherebbe una manna per un'isola spopolata, impoverita, abbandonata dalle grandi imprese, senza lavoro, e per tutti coloro che volessero investire qui, non solo sardi».

Gli animi sono combattivi; il problema è la burocrazia. Pensionati, artigiani, partite Iva, residenti dovrebbero mobilitarsi. Bisogna presentare ricorsi per ottenere la restituzione delle tasse pagate negli ultimi cinque anni e depositare istanze per essere esentati dai tributi, come accade nelle zone terremotate e alluvionate, esonerate temporaneamente dalla ghigliottina fiscale. Gli imprenditori dovrebbero emettere fatture prive di Iva in regime di franchigia.

Studi legali e tributari sull'isola cominciano a offrire consulenza. Ma i tempi della giustizia tributaria sono lunghissimi.

LA SFIDA DEI SINDACI

Così, parallelamente, la falange zonafranchista chiude la manovra a tenaglia cercando di convincere i sindaci ad approvare delibere che costringano le autorità a pronunciarsi.

«Gli amministratori devono avere più coraggio», dice Randaccio. Il fegato non manca alla sindaca di Giave, che negli ultimi mesi ha fatto approvare dal consiglio comunale una serie di delibere per costringere Regione, Agenzia delle entrate, Agenzia delle dogane, governo, a uscire allo scoperto. L'ultimo pronunciamento, che chiude il percorso giuridico-amministrativo che compete al comune, è di metà marzo: entro 30 giorni dalla pubblicazione della delibera la Regione Sardegna deve inviare al governo la comunicazione che a Giave (e per estensione nell'intera isola) è stata attivata la zona franca al consumo, che va ad aggiungersi a quelle già attive da anni di Cagliari e Porto Vesme. Palazzo Chigi dovrà poi ratificare i confini con i relativi punti di ingresso e uscita dalla zona speciale e informare la Commissione di Bruxelles perché integri il codice doganale europeo. «Giave non è sul mare ma abbiamo una zona industriale e artigianale lungo la statale 131, la principale arteria stradale sarda spiega Maria Antonietta Uras, in carica dal 2015 -, le nostre aziende ne avrebbero grandi vantaggi. E pure i nostri cittadini».

LA BENZINA COSTA METÀ

A inizio anno, mentre il resto d'Italia discuteva dei sacchetti della spesa a 2 centesimi, a Giave cercavano di capire se si possono tagliare 72 centesimi ogni litro di carburante. La sindaca si è presentata al distributore di benzina del paese, un Q8 in località Campu Giavesu; con la fascia tricolore al collo ha fatto il pieno e poi compilato una scheda carburante per chiedere il rimborso delle accise (un terzo della somma sborsata) o la compensazione con altri tributi. Ha invitato i seicento concittadini a fare altrettanto.

Ha anche preso contatto con la casa petrolifera del Kuwait per cercare di tagliare da subito il costo del rifornimento e si è sentita rispondere che i responsabili sardi della Q8 non vedono l'ora di installare nell'impianto di Giave un erogatore separato per chi ha diritto ai carburanti senza accise. «Lo faranno quando ci saranno definitivi chiarimenti», dice la sindaca. Il titolare del distributore però non ha messo mano ai prezzi: «Ci sono accordi precisi con la Q8, le pompe sono tarate - ha detto Giuseppe Mura -. E poi chi mi garantisce che verrò veramente rimborsato?». Gli automobilisti accorsi dopo avere visto la Uras sui giornali locali sono tornati delusi.

Quella della sindaca di Giave, in ogni caso, non è una provocazione a uso dei fotografi: «Io mi baso su leggi nazionali e regionali, su regolamenti europei e consulenze di giuristi e fiscalisti - spiega -. Le delibere che abbiamo adottato sono legittime: mi dimostrino il contrario, dicano chiaramente se la Sardegna è zona franca o no, tirino fuori le carte. Se le delibere non vengono impugnate sono valide. Noi vogliamo fare decollare quello che da tanti anni è rimasto soltanto sulla carta per mancanza di coraggio e volontà politica».

E ora che succede? Risponde Uras: «L'Agenzia delle entrate mi ha fatto sapere che avrebbe girato la questione a Roma». Nell'isola c'è un interesse diffuso: da Olbia al Sulcis le assemblee sono sempre affollate, sulle reti sociali c'è grande seguito. A Orosei, sulla costa orientale sarda, la mozione portata di recente in consiglio comunale aveva 180 firme di imprenditori e commercianti del paese. «Siamo disperati ed è nostro diritto chiedere la disapplicazione delle tasse - protesta Randaccio -. Tangeri è stata proclamata zona franca logistica nel 2008: guardate come è cresciuto in questi dieci anni il porto marocchino.

E come siamo sprofondati noi in Sardegna».

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