Cronache

Ma poter lavorare è un diritto

Ma poter lavorare è un diritto

Signor candidato premier, la ringrazio per la sua gentile lettera. La sua tesi però continua a non convincermi, al netto che non abbia incontrato particolare ostilità in parlamento (purtroppo non ne incontrò neppure la sciagurata riforma Fornero sugli esodati). Non mi convince per tre ipocrisie. La prima è che chiedere se preferisci lavorare o no la domenica o il giorno di Natale è come porre il quesito se è meglio essere ricchi o poveri. Ovvio che no, ma ci farei un pensierino anche sul sabato (non per nulla il fascismo lo aveva trasformato in una giornata dedicata al regime, il famoso «sabato fascista») e perché no il giorno del compleanno tuo o di tuo figlio, dell'anniversario di matrimonio, del santo protettore, cioè di giornate che ci farebbe felice vivere in famiglia che tanto «ci pensa lo Stato». La vita reale è invece diversa, anche per me che da quarant'anni sono costretto a lavorare di domenica. Non sono felice per questo ma non vorrei vivere in un Paese che impedisce ai cittadini di essere informati un giorno alla settimana.

So di essere un privilegiato, ma in punta di diritto non vedo perché dovrei avere un diritto in meno (riposare la domenica) di una commessa. E qui vengo alla seconda ipocrisia. Una legge, o un principio, per essere tale deve essere erga omnes, cioè valere per tutti. Domenica a casa, quindi per chiunque: medici, infermieri, piloti, conduttori di treni, forze di polizia, guidatori di bus e metrò, baristi, ristoratori e, perché no, calciatori. Le sembra possibile? Io capisco che lei cerchi i voti dei purtroppo tanti giovani che il week end vogliono fare gli affari loro (a proposito: coi lavoratori delle discoteche e dei cinema come la mettiamo, facciamo deroghe?) ma capisce bene che un Paese non lo si può governare con queste ricette.

Terza ipocrisia. Lei è una persona, meglio una personalità, che costringe tanta gente a lavorare nei giorni festivi. Che lei non passa chiuso in famiglia ma a fare politica. I suoi assistenti, le forze dell'ordine che devono garantire la sua sicurezza, i cameramen, i fotografi, i giornalisti e i tecnici tv e web che lei inevitabilmente mobilita (e pretende di mobilitare) pensa che siano felici di seguirla in ogni angolo d'Italia per raccontare le sue gesta? Glielo dico io: no, ma sono persone che per passione o necessità lo fanno e non si lamentano. Perché sanno che non è il lavoro che deve venire da te ma sei tu a dovere andare dove e quando c'è e - se lo trovi - considerarti fortunato.

Mi creda, onorevole. Non è con la facile demagogia che lei amplierà il consenso del suo partito. Ma soprattutto - mi ripeto - non è uno Stato mamma che ci salverà. Di mamma ognuno di noi ne ha una e tanto basta. Semmai ci servono padri giusti ma severi che ci dicano senza giri di parole che tutti noi dobbiamo lavorare di più e meglio.

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