L'appunto

Il primo round ai "no urne" (e ai mercati)

Il primo round ai "no urne" (e ai mercati)

Il round, e forse non solo quello, lo vince il partito del non voto. In maniera così schiacciante che pochi minuti dopo il via libera all'emendamento che manda politicamente in soffitta il patto a quattro tra Pd, M5s, Forza Italia e Lega i mercati danno già la loro benedizione. Piazza Affari balza subito in avanti di un punto, mentre lo spread tra Btp e Bund scende verticalmente di una decina di punti base. Tutti, insomma, festeggiano la dipartita del Tedeschellum e il conseguente allontanarsi delle elezioni anticipate. Con buona pace soprattutto di Matteo Renzi, che pur di andare alle urne in autunno ed evitare così di mettere la faccia su una legge di bilancio elettoralmente dolorosa pare disposto a qualunque cosa.

È proprio il segretario del Pd il principale sconfitto della partita che si gioca nell'aula della Camera. Perché al netto di torti, ragioni e franchi tiratori, è evidente che oggi Renzi si ritrova nella stessa scomoda posizione di quel Pier Luigi Bersani che nel 2013 tentò in tutti i modi l'accordo con Beppe Grillo. Era l'inizio della legislatura e il leader dei Cinque stelle lo fece girare a vuoto con le consultazioni in streaming così come quattro anni dopo i deputati grillini - l'un contro l'altro armati - hanno contribuito a far saltare il banco della legge elettorale. Una scelta per molti versi politica, che si è andata a sommare ai tanti voti di chi, certo di non essere ricandidato, farebbe di tutto per rimanere seduto sul suo scranno sei mesi in più (con relativo stipendio ovviamente). Ce ne sono tanti, soprattutto nel Pd e tra i Cinque stelle. Per non parlare di chi milita in quei partiti che - da Ap a Mdp - con lo sbarramento al 5% sono destinati a scomparire.

Tutti elementi che si saldano con un clima generale che spinge affinché la legislatura arrivi a fine corsa, così da evitare l'instabilità politica quando tra novembre e dicembre il Parlamento dovrà approvare la legge di bilancio. Anche Sergio Mattarella, seppure con un profilo decisamente più istituzionale del suo predecessore e rispetto dei limiti imposti dal suo ruolo, non vede di buon occhio le elezioni anticipate, convinto che i mercati potrebbero approfittare della nostra situazione di debolezza.

Forse è mettendo insieme tutti questi tasselli che alla fine Renzi ha deciso in qualche modo di drammatizzare l'incidente di ieri per sfilarsi da una trattativa che sembra essere ben più complicata del previsto e che non necessariamente lo avrebbe portato a incassare il voto anticipato. A questo punto con la prospettiva che la legislatura arrivi a scadenza naturale. Certo, il rischio di un incidente parlamentare è sempre dietro l'angolo. Martedì, per dire, già c'è il voto di fiducia sul processo penale.

Anche se, spiegava ieri in Transatlantico un ministro di Area popolare, «Renzi non ha capito che nel quadro attuale e senza legge elettorale dopo Gentiloni è più facile ci sia Grasso che il voto anticipato».

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