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Crimea e Siria le sue armi. E lo Zar paga l'isolamento

Il leader conferma il potere assoluto. Eppure i russi chiedono salari più alti e infrastrutture

Crimea e Siria le sue armi. E lo Zar paga l'isolamento

P utin ha stravinto, come da copione. «Presidente forte, Russia forte», chiedevano i milioni di manifesti con il ritratto dello Zar che hanno tappezzato i muri del Paese nelle ultime settimane di quello che è stato più un referendum sulla sua persona che un'elezione. Nessuno aveva mai dubitato del suo successo. Nonostante l'ascesa nelle fasi finali della campagna dello strano candidato comunista-capitalista Grudinin, gli avversari - ignorati o osteggiati da tutti i media - erano talmente deboli che davanti al seggio un elettore moscovita si è concessa una battuta: «Aspettarsi che uno di loro vincesse, sarebbe stato come credere che uno dei sette nani potesse assumere il ruolo di Biancaneve». Ma non tutto è andato secondo i piani: lo Zar puntava su 70% di partecipazione e 70% di voti a favore, che avrebbero dato al suo successo dimensioni anche superiori a quelle del 2012. Invece, secondo gli stessi exit poll governativi, l'affluenza alle urne è stata di circa il 7% più bassa, nonostante il tentativo di creare intorno ai seggi una atmosfera carnevalesca, e i circa 74% di voti a favore non bastano certo a compensare questo mezzo fiasco.

Perciò, Putin non può dirsi interamente soddisfatto. Per conquistare il suo quarto mandato, non ha quasi fatto campagna, ma ha puntato sul ritrovato prestigio della Russia nel mondo, sottolineato dalla presentazione di nuovi super missili, dall'annuncio di un ulteriore potenziamento del deterrente nucleare, dalla voluta coincidenza delle elezioni con la conquista della Crimea. Ma l'astensionismo tanto superiore alle previsioni indica che i russi, dopo anni di crisi economica, vorrebbero anche altro: migliori condizioni di vita, pensioni e salari più alti, cure mediche più adeguate, infrastrutture decenti. Anche nelle province, dove pure la popolarità dello Zar rimane assai più alta che a Mosca e San Pietroburgo, si comincia ad avvertire un malcontento di fondo cui, vista la scarsità di risorse e l'assenza di riforme, non sarà facile dare risposta. Questo non intacca certo il potere di Putin, che rimane assoluto, paragonabile solo a quello di Stalin, ma forse lo costringerà a rivedere almeno in parte le sue priorità. Anche per questo le cancellerie si chiedono in queste ore come Putin intende impiegare i suoi ultimi sei anni di presidenza (sempre che non modifichi la Costituzione per rimanere al potere fino al 2030, quando avrà 77 anni). Non c'è dubbio che sul piano internazionale, abbia ottenuto fin qui soprattutto successi: il ritorno allo status di potenza globale, il ricongiungimento della Crimea alla Russia e il logoramento dell'Ucraina, il ritorno vittorioso anche se foriero di complicazioni sulla scena mediorientale e mediterranea, e - non meno importante - la conquista, fino a un decennio fa impensabile, di vaste simpatie presso l'opinione pubblica europea. Tuttavia, anche qui non sono solo rose e fiori. Il prezzo di questi successi è stato quello di un crescente isolamento, che lo stesso Zar riconosce quando, per tenere viva la fiamma del nazionalismo, parla della Russia come di una «fortezza assediata»: fine dei buoni rapporti con la Germania, sanzioni ormai quasi permanenti (e in potenziale crescita), graduale trasformazione di Trump da potenziale partner in duro avversario e ora lo scontro con Europa e Usa per le imprese criminali dei suoi servizi segreti in Gran Bretagna. Nello stesso tempo, lo sperato asse con la Cina di Xi si sta rivelando fragile e il sostegno al regime di Assad ha alienato al Cremlino le simpatie del mondo sunnita e reso difficile il tentativo di staccare la Turchia dalla Nato. Molti osservatori prevedono che, nei prossimi anni, l'attenzione di un Putin «congelato» a Ovest si rivolgerà soprattutto a Est, dove il suo tentativo di ripristinare l'influenza russa sulle ex repubbliche sovietiche dell'Asia centrale non dovrebbe incontrare grandi resistenze. Già nei prossimi giorni, comunque, avremo un test importante di come Putin intende giocare le sue nuove carte: se alimentare ulteriormente il clima da guerra fredda che è venuto a crearsi o assumere il ruolo del saggio statista che sa quando fermarsi.

Ovviamente, il mondo deve augurarsi che scelga la seconda opzione.

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