Cronache

Quando lo spot diventa sessista

L’utilizzo della donna come accattivante oggetto sessuale per sponsorizzare in modo non convenzionale un qualsiasi prodotto

Quando lo spot diventa sessista

Quando una pubblicità può essere definita sessista? Uno dei campanelli d’allarme sicuramente è quando si usa il corpo femminile come strumento di appeal sessuale per sponsorizzare in modo non convenzionale un qualsiasi prodotto. Dalla scatola di cereali, al trapano, un programma televisivo o un’offerta promozionale di qualche compagnia telefonica.

Ma può risultare ugualmente offensiva e sessista anche quella comunicazione che non mostra le donne come persone ma solo come delle specie di automi dedite alla cura della casa o alla seduzione del maschio.

Non poche quelle pubblicità che fanno riflettere sull’uso e utilizzo della figura femminile. Come quella una ditta italiana di detersivi che ha realizzato un cartellone pubblicitario dove, accanto al corpo disteso di una donna, c’era un uomo con uno straccio in mano e la scritta "Elimina ogni traccia". Uno schiaffo a tutti quegli episodi di violenza contro le donne, quando non si arriva addirittura alla morte delle stesse. Un modo questo di normalizzare e banalizzare la violenza.

Da sempre infatti l’immagine è più potente della parola e la nostra mente coglie subito, a livello inconscio, il messaggio subliminale della violenza.

È di solo un mese fa la notizia del manifesto indecente per il quale l’Assessore Marta Leonori, responsabile per la giunta Marino alla Roma produttiva, dopo le polemiche dei cittadini e la rivolta sui social network si è schierata contro il poster choc di una clinica di smartphone e computer nella zona Appia. La pubblicità infatti è stata oscurata e la società sanzionata.

E che dire della campagna animalista della Peta uscita qualche tempo fa, dove veniva raffigurata una donna con evidenziati i suoi tagli migliori, le cosce, i fianchi, la spalla come se fosse un animale da macello. Pur capendo il messaggio forte che gli animalisti della Peta volevano dare, non si comprende il fatto di metterci una donna. La quale, esattamente come gli animali da loro difesi merita rispetto.

Molte volte fare scandalo è il mezzo più rapido usato soprattutto da piccole agenzie pubblicitarie marginali che avendo pochi mezzi a disposizione catturano, in tempi rapidi, un’ampia attenzione. Della serie purchè se ne parli, al resto pensiamo dopo...

Ma a cadere in questo retrogrado clichè purtroppo ritroviamo anche le grandi agenzie pubblicitarie che non disdegnano per sensazionali campagne promozionali il doppio senso dove l’oggetto in questione è la donna e il suo corpo. L’utilizzo della donna come accattivante oggetto sessuale è spesso infatti un facile espediente per nascondere una reale mancanza di idee creative. In molti poi (non tutti) si nascondono dietro la frase : "È la gente che vuole questo".

E i dati parlano chiaro. Su 142 Paesi, infatti l’Italia nella classifica di parità di genere stilata dal World Economic Forum, risulta al sessantanovesimo posto. I media rispecchiano il clima generale del nostro Paese tacciando per normale ciò che normale non è. Ma questo discorso, naturalmente vale anche per gli altri Paesi. Tuttavia nessun Paese al mondo è ancora arrivato al livello di completa parità di genere.

L’Italia inoltre non scordiamolo è un Paese storicamente sessista. Solo nel 1981 sono state abolite le attenuanti per il cosiddetto "delitto d’onore". Nel 1996 la violenza sessuale è stata riconosciuta come reato contro la persona e solo nel 2009 lo stalking è stato definito come atto persecutorio. Altro dato da non sottovalutare: gli omicidi sono diminuiti di due terzi in vent’anni (dato Istat) mentre i femminicidi restano stabili, circa uno ogni tre giorni.

E che sia sull’utilizzo della figura femminile in uno spot o la dequalificazione sul posto di lavoro, la strada per l’emancipazione e il rispetto femminile sembra essere ancora lunga e non priva di ostacoli.

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