Cronache

Quei caduti italiani di "serie b" a cui lo Stato non dà neanche una medaglia

Oggi a Montecitorio la protesta delle famiglie dei 22 caduti vittime del "dovere" in Afghanistan che chiedono un unico riconoscimento per tutti i caduti nelle missioni internazionali di pace

Quei caduti italiani di "serie b" a cui lo Stato non dà neanche una medaglia

Dinanzi alla morte siamo tutti uguali, si dice. Ma evidentemente, così non è per il ministero della Difesa della Repubblica Italiana. Se si scorre infatti la pagina del sito del ministero dedicata ai caduti italiani nelle Missioni Militari Internazionali di Pace - dalla missione Onu in Eritrea del 1950 fino al 2013 in Kosovo - si nota subito che solo ad alcuni dei militari caduti prestando servizio nell’Esercito Italiano e nei Servizi di Sicurezza è stata appuntata una medaglia d’oro al valor militare. Mentre le pagine di altri ragazzi risultano spoglie di qualsiasi riconoscimento. Il ministero della Difesa, infatti, determina la tipologia di riconoscimento da attribuire al caduto, secondo la normativa vigente, che fa riferimento alle leggi 206/2004 e 246/2006, in relazione alle circostanze in cui lo stesso ha perso la vita, applicando, di fatto, una disparità di trattamento tra coloro che hanno perso la vita come vittime del “terrorismo”, e i caduti vittime del “dovere” o del “servizio”, ovvero di incidenti occorsi durante lo svolgimento delle proprie funzioni operative.

Questo ha fatto indignare non poco le famiglie dei 22 ragazzi considerati vittime del “dovere” che hanno perso la vita durante la missione ISAF in Afghanistan, e che oggi hanno manifestato in piazza Montecitorio per chiedere che vengano assegnati gli stessi riconoscimenti delle vittime del “terrorismo” anche ai propri cari. O meglio, per chiedere che a tutti i caduti nelle missioni internazionali venga assegnato un unico riconoscimento. Le mamme e i papà di questi giovani si sentono “abbandonati” dallo Stato e “discriminati”. “I nostri figli sono caduti di ‘serie b’, vittime di seconda classe” dicono a ilGiornale.it, sottolineando il fatto che dopo la morte dei loro cari non hanno ricevuto né medaglie, né funerali di Stato. Alcuni di loro, lamentano di non aver avuto nemmeno informazioni precise sulla dinamica della morte dei loro figli. Altri non hanno potuto vedere la salma del proprio caro. I risarcimenti e le indennità previsti per i familiari delle vittime cosiddette del “dovere” e del “servizio”, inoltre, non sono estesi a tutti i familiari di primo grado, non essendo stata ancora attuata nel nostro ordinamento l’equiparazione del trattamento tra vittime del “terrorismo” e del “dovere”. In questo modo, inoltre, dicono i familiari, possono crearsi situazioni spiacevoli. Se il militare caduto al momento della morte, infatti, risulta essere sposato, il risarcimento spetta, ad esempio, soltanto alla moglie e non ai genitori e ai fratelli.

Per portare il problema all’attenzione delle istituzioni, Vincenzo Frasca, il fratello del Caporal Maggiore Capo Mario Frasca, caduto durante la missione ISAF in Afghanistan nel settembre del 2011 assieme ai due suoi commilitoni Riccardo Bucci e Massimo Di Legge, lo scorso anno, durante le celebrazioni per il 4 Novembre, si era sfogato proprio con il presidente della Repubblica, Sergio Mattarella, al quale aveva chiesto una modifica della legge vigente per poter finalmente riservare a tutti i militari caduti lo stesso trattamento. Nel dicembre del 2015, Frasca aveva quindi scritto al presidente della Repubblica, salvo poi ricevere una risposta negativa, in cui il capo dello Stato lo informava che “pur nella massima considerazione” di quanto esposto, non poteva “compiere alcuna valutazione dei fatti” non disponendo “di alcuno strumento diretto di intervento su altri Organi dello Stato nell'esercizio di competenze ad essi assegnate dall'ordinamento”. In sintesi dall’ufficio del presidente della Repubblica hanno segnalato il caso al ministero della Difesa. E a causa dei “numerosi impegni istituzionali”, il presidente Mattarella ha rifiutato la richiesta di un incontro fatta dal fratello del militare morto in Afghanistan.

Quel ragazzo trentaduenne, morto ad Herat assieme ai suoi colleghi, in seguito al ribaltamento del lince sul quale viaggiava durante una missione di servizio per evitare un oggetto potenzialmente pericoloso sulla carreggiata, dallo Stato italiano è considerato, assieme ai suoi commilitoni, una vittima del “dovere” e non del “terrorismo”. Eppure Mario, il Caporal Maggiore Scelto del Comando delle Forze Operative Terrestri, che già aveva prestato servizio in Kosovo, e che in Afghanistan partecipava ad un’operazione congiunta per scortare i soldati in un ambiente ad alto rischio, era lì proprio per questo, per combattere il terrorismo internazionale e per difendere i valori della sua nazione. “Erano lì per servire la patria”, dice la mamma di uno dei ragazzi ai microfoni, “e la patria che cos’ha fatto per noi?”. “Niente”, ripete sconsolata.

Vincenzo Frasca, ha depositato, infine, alla Camera, una proposta di legge per l'equiparazione dei riconoscimenti ai caduti nelle missioni internazionali. “È una proposta che stiamo valutando”, ha dichiarato l’On. Luca Frusone, deputato del M5S e membro della IV Commissione Difesa, intervenuto al sit-in, “e che comunque dobbiamo sottoporre all’attenzione di tutta la Commissione Difesa, perché di questa differenza tra i caduti finora non si è mai parlato”.

“Per il risolvere il problema serve la volontà politica e che la maggioranza sia sensibile a questo tema: a quel punto”, conclude, “sarà facile trovare anche gli strumenti per risolverlo”.

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