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Il quesito incomprensibile scritto in burocratese

Il quesito incomprensibile scritto in burocratese

Domenica a Roma si vota un referendum (peraltro consultivo, a proposito di quella «democrazia diretta» che ai grillini piace tanto) sul trasporto pubblico in città. Di fatto i romani dovranno decidere se liberalizzare o no il servizio dei trasporti cittadini: bus e metropolitana. Per essere ancora più precisi: si decide se si potranno fare gare d'appalto per la gestione delle linee, a cui può partecipare anche l'Atac, l'azienda pubblica di trasporti. E comunque i posti di lavoro non sono a rischio. Vince chi propone migliore qualità e prezzi più bassi.

Detto così, è semplice. Scriverlo su una scheda elettorale può diventare difficilissimo. O addirittura ridicolo, o raccapricciante, a seconda dei punti di vista. Ecco, i punti. Sono due. E qui ci rivolgiamo al lettore, oltre che all'elettore. Provate a leggere i due punti del referendum con calma, facendo attenzione, sforzandovi di entrare nella testa e nella lingua del legislatore (che prima di tutto è un burocrate). Quesito 1: «Volete voi che Roma Capitale affidi tutti i servizi relativi al trasporto pubblico locale di superficie e sotterraneo ovvero su gomma e rotaia mediante gare pubbliche, anche ad una pluralità di gestori e garantendo forme di concorrenza comparativa, nel rispetto della disciplina vigente a tutela della salvaguardia e della ricollocazione dei lavoratori nella fase di ristrutturazione del servizio?». Silenzio. Sconcerto.

Ora prendete fiato. Ricomponetevi. Ricacciate in gola l'urlo di rabbia anti-sistema. E riprovate con il quesito 2: «Volete voi che Roma Capitale, fermi restando i servizi relativi al trasporto pubblico locale di superficie e sotterraneo ovvero su gomma e rotaia comunque affidati, favorisca e promuova altresì l'esercizio di trasporti collettivi non di linea in ambito locale a imprese operanti in concorrenza?». Sconforto. Silenzio.

E si noti il poetico, arcaico, fondamentale avverbio «altresì»; significato: «Inoltre, anche, pure». Esempio (dantesco): «Là giù cascherò io altresì quando Verrà colui ch'l'credea che tu fossi».

Tecnicamente si capisce che qui si gioca una partita politica (l'Atac conta migliaia di dipendenti, che con le loro famiglie sono migliaia e migliaia di voti). Ma sintatticamente non si capisce nulla. Il regolamento comunale prevede che per votare occorra «un documento valido e la tessera elettorale». Ma si consiglia di portarsi al seggio anche un dizionario, un accesso a internet, una grammatica della lingua italiana, il numero di telefono di uno dei promotori del referendum per farselo spiegare, una monetina per fare testa o croce prima del segno a matita. «Sì» o «no»?

No. Non va bene. Non è vero che «Possono votare tutti i cittadini iscritti nelle liste elettorali di Roma Capitale». Così possono votare soltanto persone plurilaureate, che hanno studiato per giorni il testo dei quesiti e la storia del trasporto pubblico nella Capitale. Vedete? Uno non vale uno.

Un vecchio professore di filologia ci diceva che usare sui biglietti della metropolitana il verbo «obliterare» è un atto antidemocratico, élitario, contro il popolo. Il «governo del popolo», a partire dal sindaco Virginia Raggi, deve fare attenzione. E farsi capire da tutti i cittadini, uno a uno.

Luigi Mascheroni

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