Rosso Malpelo

Questa vita amara eppure irrinunciabile

Questa vita amara eppure irrinunciabile

Nel 1996, vivevo a New York quando giunse la notizia di un certo dottor Philip Nitschke che aveva ottenuto l'autorizzazione dal governo australiano a sperimentare il suicidio assistito nella città di Darwin, che raggiunsi dopo venti ore di volo. Il caldo era atroce e i coccodrilli attraversavano la strada sulle strisce, come previsto dalla segnaletica australiana.

Trovai il dottor Nitschke in un hangar dove aveva predisposto il percorso di decine di pazienti in attesa. Ognuno di loro avrebbe dovuto, con una serie di clic su un computer, confermare l'intenzione di morire. La vista dei malati era scioccante, ma mai quanto il risultato dell'esperimento: non uno solo degli aspiranti suicidi accorsi da tutto il mondo cliccò l'ok che avrebbe aperto le sue vene all'iniezione letale.

Il governo aveva posto la condizione che gli aspiranti suicidi (malati terminali, ma non soltanto) dovessero dimostrare di essere coscienti e consenzienti fino alla fine. L'esperimento fallì, il governo ritirò al dottor Nitschke la licenza di uccidere e io spesi due giorni con lui e la sua irritata frustrazione. Perché il progetto era fallito? Non se ne dava pace. Mi tornò in mente un verso del poeta romanesco Gioachino Belli e tentai di tradurglielo: «Siamo tutti attaccati a st'ammazzata vita», dove «ammazzata» sta per irrinunciabile, per quanto amara. Non è sempre vero, ma quasi.

Specialmente da quando il dolore fisico può essere eliminato, come previsto da una negletta legge anche in Italia.

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