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Recessione, spread, migranti: ​Renzi sottovaluta il rischio Brexit

Altri Paesi potrebbero finire per seguire l'esempio britannico. Palazzo Chigi sottovaluta i danni per Roma dell'addio di Londra

Recessione, spread, migranti: ​Renzi sottovaluta il rischio Brexit

Persino De Gaulle oggi la penserebbe diversamente. Quasi mezzo secolo fa, il 16 maggio del 1967, il generale francese espresse il suo fermo «no» all'ingresso della Gran Bretagna in Europa. Molte delle sue obiezioni erano giustificate, ma ora anche il mitico Charles paventerebbe il divorzio di Londra da Bruxelles, la cosiddetta Brexit. Soprattutto per i Paesi più deboli della Comunità, a cominciare dall'Italia, il forfait britannico avrebbe conseguenze molto negative e imprevedibili. Strano Paese il nostro: quando si parlava di Grexit, con l'uscita di una Grecia sull'orlo del crac, i nostri governanti lanciarono ripetuti allarmi sulle conseguenze negative della secessione ellenica, a prescindere da Varoufakis. Se Atene piange, dicevano, Roma non ride. Oggi, invece, fanno finta di nulla, come se il problema non ci riguardasse affatto. E, invece, il divorzio si tradurrebbe in una nuova recessione estesa a tutto il Vecchio continente. Se, giovedì scorso, sfidando lo stesso primo ministro, il governatore della Banca d'Inghilterra, Mark Carney, ha lanciato un serio allarme sulle conseguenze negative della rottura anglo-europea, venerdì il direttore generale del Fondo monetario internazionale, la francese Christine Lagarde, ha messo in guardia sui rischi di uno «yes» al referendum del prossimo 23 giugno. Senza considerare il fumo di Londra con il deprezzamento della sterlina, a livello internazionale l'effetto-boomerang sarebbe a macchia d'olio: si andrebbe da una forte volatilità sui mercati azionari a una riduzione degli investimenti, con inevitabili contraccolpi sull'occupazione. In pratica verrebbero azzerate quelle prospettive di ripresa che, nonostante tutto, si delineano all'orizzonte e finirebbe pure la stagione dei tassi d'interesse molto bassi.

L'impressione è che la situazione sia un po' sfuggita di mano a Cameron: per contare di più sullo scacchiere europeo, il lord britannico ha finito per mettere una bomba a orologeria tra Bruxelles e Francoforte, nel cuore dell'Europa. Renzi e compagni, tutti presi dalla corsa elettorale per il Campidoglio o dai deragliamenti di Sala verso Palazzo Marino, per non parlare dei referendum istituzionali d'autunno, non si sono proprio resi conto di quello che potrebbe succedere con la secessione d'oltre Manica. Solita miopia all'italiana o provincialismo spinto all'eccesso? Eppure la City è la principale industria inglese e c'è il rischio tangibile di innescare un gravissimo terremoto continentale che potrebbe minare le basi stesse della costruzione europea.

Pensiamo solo a cosa potrebbe succedere al nostro debito pubblico con uno spread che rischia, di nuovo, di schizzare verso l'alto e di svegliare bruscamente dal letargo il premier Renzi in tutt'altre faccende affaccendato. Bisogna, poi, mettere in conto l'effetto-volano sia all'interno della Gran Bretagna sia sull'Europa intera: già l'anno scorso la Scozia aveva provato a staccarsi da Londra e, adesso, un eventuale divorzio europeo potrebbe creare nuove forze centrifughe. Con l'emergenza-immigrati in tutto il continente, chi ti dice, poi, che altri Paesi, come l'Ungheria, non finiscano per seguire l'esempio britannico? È vero che, oggi come oggi, è più probabile una vittoria dei «no» sui «sì» in terra d'Albione, ma i margini sono piuttosto ridotti e un colpo di scena è sempre possibile.

Sull'argomento, ho interpellato alcuni responsabili di istituti di credito. Off the record, nessuno ha usato mezze misure: il distacco della Gran Bretagna potrebbe avere conseguenze anche più gravi di quelle registrate in Italia, nell'ultimo anno, sul fronte bancario. Come a dire: tocchiamo ferro, ma c'è puzza di un Montepaschi al quadrato.

E, allora, è proprio il caso di dire: Renzi, datti una mossa prima che sia davvero troppo tardi.

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