Cronache

Una rete di Centri anti ictus

Solo l'1,8% dei pazienti colpiti riceve le migliori terapie entro 4 -5 ore: servono cure più tempestive

«Ictus ischemico: quanto costa non agire». Questo il tema al centro di un dibattito organizzato dalla Regione Lombardia. Si è svolto martedì a Milano tra rappresentanti del mondo sanitario, responsabili di strutture specialistiche e di strutture di emergenza di alcuni grandi ospedali, oltre all'associazione per la lotta all'ictus cerebrale. In Italia questa patologia è la terza causa di morte, la prima per invalidità e la seconda per la generazione di stati di demenza con perdita dell'autosufficienza. Sono 200mila i nuovi casi ogni anno, i decessi sono il 10 - 12 per cento, il 37 per cento sopravvive con deficit invalidanti, il 25 torna alla normalità.

L'incidenza dell'ictus aumenta con l'età e i casi su base annua sono destinati ad aumentare a causa dell'invecchiamento progressivo della popolazione: la maggior incidenza si registra nei pazienti con età superiore ai 65 anni.

Parliamo con Luca Valvassori, neuroradiologo all'ospedale Niguarda Ca Granda di Milano, uno dei relatori all'incontro. «Oggi -afferma il dottor Valvassori - esistono nuove opzioni terapeutiche per la cura dell'ictus in acuto, mirate all'ottenimento di un miglior risultato clinico del paziente e, non sempre, l'approccio terapeutico basato sulla trombolisi sistemica - il trattamento farmacologico per lo scioglimento del trombo - può essere la soluzione ottimale o possibile, sia per la poca efficacia (ad esempio negli ictus gravi, che interessano vasi di grosso calibro) , sia per i limiti di accesso alla cura (entro 4-5 ore dall'insorgenza dei sintomi, e molti pazienti sono controindicati al farmaco) . Spesso può essere consigliabile ricorrere alla trombectomia, la rimozione fisica del trombo o grumo di sangue mediante uno stentriever - uno strumento che intrappola il trombo consentendo di rimuoverlo - e di ripristinare la pervietà del vaso occluso. Una metodica, quest'ultima, che talvolta si combina con l'aspirazione meccanica o manuale del trombo tramite l'impiego di speciali cateteri».

Esistono quindi possibilità di cura ma, in Italia solo l'1,8 per cento dei pazienti può accedere alle terapie ottimali, mentre nelle migliori pratiche internazionali si arriva al 20- 25 per cento. La ragione di questa disparità è da attribuirsi a carenze organizzative e all'assenza di quelli che dovrebbero essere i pilastri di una governance ottimale di questa problematica sanitaria, cioè la rapidità del trasferimento in ospedale idoneo, strutture ospedaliere integrate in una vera rete (hub&spoke).

«Si deve intervenire - esorta il dottor Valvassori - riducendo i tempi d'intervento tra l'insorgenza dei sintomi e l'arrivo dei soccorsi. Basti pensare che tra il 63-72 per cento dei pazienti giunge in ospedale oltre i limiti terapeutici di 4,5 ore. Ogni 30 minuti di ritardo diminuisce del 12 per cento la possibilità di un buon esito clinico con una ricaduta diretta sull'incremento dei costi in fase acuta e post-acuta . Manca poi la consapevolezza e la capacità diffusa della popolazione di riconoscere i sintomi dell'ictus, il senso dell'urgenza necessario ad una rapida attivazione dei servizi territoriali (118). Inoltre si assiste a una notevole inefficienza per quanto riguarda la corretta individuazione e distribuzione sul territorio dei pazienti con ictus».

Nel caso della regione Lombardia - ma anche nelle restanti regioni italiane - sarebbe auspicabile una scelta organizzativa che assicuri un numero adeguato di centri di eccellenza (almeno nove per la Lombardia) nei quali fossero concentrate tutte le possibilità - opzioni di approccio terapeutico e le eccellenze cliniche e tecnologiche che eleverebbero così il livello delle prestazioni ai più alti standard.

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