Cronache

La ricerca della vera fibra Dal Perù alla Mongolia

In Oriente il cashmere, in Sud America la lana vigogna rispettando i tempi di tosatura degli animali del posto

Questa è la storia di due esploratori delle fibre - Sergio e Pier Luigi Loro Piana - partiti negli anni Settanta dalla Valsesia con l'obiettivo di far conoscere le materie prime più pregiate al mondo per confezionare abiti da re. Così, dopo lunghi anni di ricerche e trattative con le popolazioni e i governi locali, i fratelli Loro Piana sono riusciti a diventare acquirenti di riferimento di cashmere e baby cashmere in Cina e Mongolia e di vicuña in Perù e Argentina. Il cashmere bianco più pregiato, caldo e leggero, è il finissimo sottovello o duvet che la capra Hircus sviluppa per proteggersi nelle zone della Mongolia interna, tra il deserto del Gobi e la Grande Muraglia. Ogni capra produce solo 100-150 grammi di sottovello l'anno ricavato tramite un delicato processo di pettinatura. Il baby cashmere è ottenuto invece dal sottovello dei soli cuccioli di capra Hircus che hanno meno di 12 mesi di vita, dunque 30 grammi per ogni capretta una sola volta nella loro esistenza. Per aggiudicarsi il baby cashmere i Loro Piana hanno trattato per 10 anni con i pastori mongoli che nel mese di maggio radunano le greggi per la tosatura. Ogni anno i professionisti dell'azienda si recano in quegli angoli sperduti della terra per controllare il processo, mantenere un rapporto continuativo con gli organi locali e verificare la qualità dei lotti prima dell'acquisto. Se è tutto in regola procedono con l' ejarratura , primo trattamento di nobilitazione del cashmere, in una struttura di proprietà a Ulan Baatar, poi spediscono tutto in Italia, a Roccapietra, dove la materia prima viene ricontrollata più volte e trasformata in morbidi gioielli da indossare grazie a macchinari all'avanguardia e mani esperte. Ognuno dei 5 milioni di metri di tessuto prodotti all'anno, infatti, vengono toccati a mano a Quarona, dove bravissime rammendatrici sono in grado di identificare ogni più piccola imperfezione e porvi rimedio ricostruendo la trama. Tutto ciò vale anche per la regina delle Ande, la vicuña, un grazioso camelide diventato ai tempi dell'impero Inca vero e proprio oggetto di culto, tanto che se ne impediva la caccia e se ne riservava la magnifica fibra ricavata dal vello castano oro (più fine - 12 micron - e morbido del cashmere) solo alla famiglia dell'imperatore. Purtroppo da milioni passarono a poche migliaia sul finire del ‘500 a causa dello sterminio dei conquistadores spagnoli di Francisco Pizarro interessati a commerciare la divina fibra. Da allora l'opera di bracconaggio è proseguita fino al 1976 quando la Convenzione di Washington ha dichiarato la vicuña specie protetta e ne ha proibito il commercio. Nel 1987 il governo peruviano, con l'aiuto delle comunità dei campesinos alto-andini (vivono fra i 3 e i 4 mila metri) e dell'International Vicuña Consortium guidato da Sergio e Pier Luigi Loro Piana, ha ottenuto l'autorizzazione a reintrodurre sul mercato piccoli quantitativi di fibra a patto che la tosa incruenta e controllata avvenga ogni due anni. Oggi i due fratelli sono proprietari di una riserva intitolata al padre Franco nell'area di Pampa Galeras - il numero delle vicuñe all'interno della riserva è raddoppiato in cinque anni – e hanno acquisito la maggioranza di una società argentina che ha il diritto di tosare i camelidi che vivono liberi in un territorio di 85mila ettari. L'impegno dell'azienda insomma ci ha restituito il privilegio di vestire la fibra degli dei.

E in un mondo, quello della moda, spesso popolato da falsari, scoprire storie come questa fa tirare un sospiro di sollievo.

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