Cronache

"Il post terremoto del governo? Si vive meglio in galera"

Silvia, allevatrice del Centro Italia, elenca tutti i ritardi dell'emergenza terremoto: "Da queste montagne ci caccia la burocrazia"

"Il post terremoto del governo? Si vive meglio in galera"

Laura è una allevatrice. I Sibillini sono la sua casa, le pecore il suo sogno. Un amore per la montagna che nemmeno con il sisma di agosto, ottobre e gennaio hanno fatto traballare. “I monti senza gli allevatori non vivono”, dice chiedendo anonimato. E forse ha davvero ragione. Belli, gli Appennini. Ripidi, forse. Ma mai quanto la burocrazia italiana. Quella sì che è la vera vetta da scalare per chi ha fatto le spese del terremoto e non vorrebbe abbandonare le terre di cui con fatica continua a conservarne le tradizioni.

Dopo le scosse del 26 ottobre la casa di Laura si è sbriciolata. Era ad appena 90 metri dall’epicentro. Non sa come abbia fatto a salvarsi. “Ormai credo nei miracoli”. Dopo quattro mesi da sisma non riesce più giustificare la gestione di Vasco Errani e Renato Curcio. “Mi hanno detto: non vedi che l’ambiente ti è ostile? Io invece credo che le montagne ci abbiano protetto. La mattina le guardo e le vedo materne. È solo la burocrazia a cacciarci via da questi posti. Sono le leggi a soffocarci. Non le montagne”.

Deportati sulla costa

Laura e suo marito per mesi sono stati “deportati” sulla costa e costretti a fare 250 km al giorno in auto per tornare a custodire le pecore rimaste nella stalla martoriata. Solo a dicembre è arrivata una roulotte da donazioni private. “Abbiamo cercato di seguire le pratiche per ottenere il Mapre (Modulo abitativo provvisorio) previsto per gli allevatori”, racconta. Ma non è stato facile. “La pratica è partita ad inizio gennaio. L’autorizzazione a far arrivare una ditta per i lavori è arrivato solo una settimana fa. Le sembra normale?”. Non tanto. Ma la burocrazia funziona così. E la gestione Errani sembra solo aver peggiorato la situazione. “Partoriscono una ordinanza a settimana, mettono paletti assurdi. Abbiamo dovuto fare tre domande per ‘sto cavolo di Mapre”. Un disastro. “Ma tanto che gli frega? Al freddo ci stiamo noi, mica loro”.

Il rimpianto di Bertolaso

Chi vive l'emergenza oggi rimpiange la gestione Bertolaso del 2009. “Dicono abbia mangiato sulla ricostruzione. Ma se dopo cinque mesi riuscivano a mettermi in una casa, per quanto mi riguarda si potevano mangiare pure la cicoria. Un vecchio adagio della montagna dice che chi maneggia il miele e si lecca le dita ci può stare, il problema è chi maneggia il miele e fa sparire pure il barattolo”. Oggi mancano pure i barattoli: ricostruzione immobile, casette in ritardo, tasse in arrivo. Anche Errano lo ha ammesso. Quando a gennaio i Sibillini sono stati coperti da una spessa coltre di neve, i container promessi da Renzi entro Natale non erano ancora arrivati. E molte delle tensostrutture in sostituzione delle stalle sono ancora da montare. “Un mio amico dopo il sisma ha dovuto rimettere le bestie nella stalla mezza distrutta perché non erano arrivate quelle temporanee. Così con la neve gli è crollato tutto sulle vacche”.

Ogni inefficienza fa rabbia. È normale. Soprattutto se sei costretto a vivere in una roulotte senza bagno. “Per lavarci dobbiamo guidare fino alla costa. Ben 40 euro di gasolio per una doccia nel centro direzionale della Protezione Civile. Dopo cinque mesi dal terremoto mi sembra assurdo”. Inutile parlare di ricostruzione. “Ci vorranno 20 anni”, dice sconsolata Laura. “Arriverà il prossimo di terremoto con le case ancora in macerie”.

Meglio la galera

Nelle difficoltà la sua piccola azienda continua a pascolare pecore. Sono rare e di una specie particolare. “Abbiamo perso tutto e dei soldi che il governo ci aveva promesso non è arrivato quasi nulla. Solo tanta solidarietà da persone private. La gente in Italia ha il cuore grande. Lo Stato no: di fronte all’emergenza si affoga nella burocrazia”. Gentiloni dice di aver fatto tutto il possibile. “Ma cosa? Cosa? Cosa?”. Un urlo di rabbia. La prima tentazione sarebbe quella di chiedere aiuto ancora agli italiani, ma “io – dice Laura – non so chiedere l'elemosina”. La seconda è quella di infrangere le regole. “Tanto cosa mi levano? Mi portano in galera? Magari. Così almeno mi pagano l’Università, mi laureo, mi riposo.

Rispetto a come viviamo adesso, il carcere sarebbe molto meglio”.

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