Cronache

Rosarno, uccisa nella tendopoli. Nessun razzismo, solo vendetta

Non è stata uccisa dai razzisti né dall'odio dei cittadini di Rosarno. La nigeriana Becky Moses è rimasta vittima di una connazionale, che con il fuoco voleva regolare i conti di una sua personale vendetta amorosa

Rosarno, uccisa nella tendopoli. Nessun razzismo, solo vendetta

Non è stata uccisa dai razzisti né dall'odio dei cittadini di Rosarno. La nigeriana Becky Moses è rimasta vittima di una connazionale, che con il fuoco voleva regolare i conti di una sua personale vendetta amorosa. Domenica mattina, a Courmayer, la polizia di frontiera ha messo le manette ai polsi a Lise Emike Potter, accusata di concorso in strage con l'aggravante di aver agito per motivi futili e abietti. La nigeriana 47enne è ritenuta la mandante dell'incendio che, il 27 gennaio scorso, ha distrutto più di 200 baracche della tendopoli di San Ferdinando, a due passi da Rosarno. Nel rogo ha trovato la morte Becky Moses, mentre altre due ragazze hanno riportato ferite non gravi.

Nei giorni successivi erano scattate le polemiche e le proteste, con tanto di corteo da parte di attivisti e immigrati che chiedevano un miglioramento del sistema di accoglienza per gli abitanti di una tendopoli che si riempie all'inverosimile durante la stagione di raccolta degli agrumi.
Il sospetto diffuso era che, dietro al rogo, ci fosse un rigurgito di intolleranza degli abitanti del luogo, già noti alle cronache per la reazione violenta avvenuta all'indomani della rivolta dei migranti del 2010, che mise a ferro e fuoco la cittadina della Piana calabrese. Niente di tutto questo, invece. Secondo gli inquirenti, la donna arrestata in Val d'Aosta avrebbe commissionato ad alcuni connazionali l'incendio di una baracca in cui dormiva un'altra nigeriana di 25 anni, ritenuta da Potter l'amante del suo ex convivente, un liberiano di 36 anni anche lui ospite della tendopoli. Un delitto passionale andato male, dunque, di cui avrebbe fatto le spese la giovane Becky Moses. Un omicidio che ha comunque riacceso i riflettori sulle condizioni di vita dei migranti di San Ferdinando, costretti a vivere in baracche fatiscenti senza acqua corrente ed elettricità, in una enorme bidonville che, malgrado le promesse e gli annunci delle istituzioni, non è ancora stata smantellata.

La vicenda di Becky Moses racconta meglio di tanti studi di settore i limiti dei sistemi di accoglienza italiani, che costano moltissimo ma non riescono a garantire condizioni di vita dignitose a richiedenti asilo e immigrati. Becky Moses, prima di arrivare nella tendopoli, aveva vissuto per qualche tempo a Riace, la cittadina della fascia jonica calabrese diventata un modello di accoglienza famoso in tutto il mondo grazie alle idee rivoluzionarie del suo sindaco, Mimmo Lucano, considerato dalla rivista Fortune uno dei 50 uomini più «influenti» del pianeta. La giovane nigeriana, dopo il mancato accoglimento della sua richiesta di asilo politico, era stata costretta a lasciare Riace e a trasferirsi nel ghetto di San Ferdinando, dove si è poi concretizzato il suo tragico destino. Lo stesso Lucano, nei giorni scorsi, ha ammesso che la sua esperienza di accoglienza diffusa è ormai giunta al termine: «Non abbiamo più fondi, dobbiamo chiudere». Il sindaco di Riace oggi può contare solo sulle risorse garantite dallo Sprar (Sistema di protezione per richiedenti asilo e rifugiati), insufficienti ad assicurare la prosecuzione dei progetti. Restano la sua amarezza e la sua solitudine: «Ho lottato tanto, mi dispiace.

Riace rimarrà un paese fantasma».

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