Cronaca locale

Sala, non fare come Pisapia

Sala, non fare come Pisapia

Un paio di omicidi e una studentessa accoltellata per rapina. Tutto in una notte e tutto a Milano, che non è «Beirut», come ricordava spesso l'ex sindaco Giuliano Pisapia a chi gli chiedeva pattuglie di militari perché non si sentiva tanto al sicuro, e forse neppure Londra, dove ultimamente ci si ammazza con drammatica frequenza. Però un problema sicurezza c'è. Eccome se c'è, ed è spesso legato a una immigrazione fuori controllo che anche una città accogliente come Milano fatica a metabolizzare. Ma la sinistra non ci sente. Ha sempre fatto un po' fatica ad ammettere un'emergenza che ha trasformato molti quartieri periferici in veri e propri ghetti sullo stile delle banlieue d'Oltralpe.

Che poi il problema è lì, tra i palazzoni, le parabole dei satelliti, le porte sfondate dagli abusivi e i pensionati che vivono barricati con il terrore di essere aggrediti. Il problema sono le bande sudamericane, i Barrios, le pandillas salvadoregne che si contendono le strade con i Comando peruviani e con i Trinitario, i dominicani che arrivano da Qt8. È qui che si fanno i conti con il degrado e la paura quotidiana, non certo nei salotti del centro dove i discorsi sull'accoglienza sono spesso un bell'esercizio di demagogia per mettersi in pace con la coscienza. Via Padova, via Settembrini, via Gaffurio, dove ieri notte, a Milano, hanno brillato le lame, sono un piccolo triangolo delle Bermuda tra la stazione Centrale e piazzale Loreto. Sono l'esempio del fallimento di una politica che, più che nei controlli, nelle pene e nelle sanzioni, ha puntato e creduto nell'integrazione fatta con le feste di piazza, con le bicchierate e con le tavolate dove «siamo tutti fratelli». Che sono un'ottima cosa, che servono, ma che durano un pomeriggio, una sera, un amen se non ci sono «regole d'ingaggio» chiare per tutti che garantiscano una convivenza civile. Infatti, dopo la musica e i brindisi, si torna a fare i conti con la realtà di tutti i giorni. E così il «quartiere misto» da esportare nel Paese, il «laboratorio» dove far vivere e convivere una cinquantina di etnie in un frullatore di razze, usanze, fedi e culture, ora è una strada senza via d'uscita dove ogni mondo fa storia a sé, dove si rapina e si spaccia e dove, dopo una certa ora, la gente preferisce rintanarsi in casa. Ma anche dove la politica (una certa politica) ha perso. «Milano non è Beirut», ma è Milano. Moderna, fashion, con i lustrini dei suoi Saloni, ma con un problema di sicurezza e di integrazione che sono un'emergenza che Beppe Sala deve affrontare senza ipocrisia, evitando di commettere gli stessi errori. Le bicchierate sono passate di moda e stanno lasciando il passo alle catene solidali e ai concerti. È chiaro che serve altro.

E il sindaco, nell'imbarazzo di chi sa di essere un sindaco di sinistra eletto con i voti della sinistra anche radicale, è chiamato a correggere il tiro.

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