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Salvini leader dei 5 Stelle

Passa la linea leghista in Aula: il Movimento non esiste più

Salvini leader dei 5 Stelle

La «sicurezza bis» è legge: 160 sì, 57 no e 21 astenuti. È un lunedì di falsi timori e poche speranze. Sono passate le sette e trenta della sera e al Senato si comincia a votare il decreto legge 53/2019. È la bandiera del salvinismo e il governo, su richiesta di Riccardo Fraccaro, ministro cinquestelle per i Rapporti con il Parlamento, la blinda con la fiducia. Il messaggio è chiaro: qui non si vota solo una legge, c'è in ballo il patto tra Salvini e Di Maio. È un voto che dice chi comanda, chi è il capobranco e chi il gregario. Il bis sulla «sicurezza» è un atto di sottomissione. È quello che è accaduto. I grillini, perfino molti dissidenti, si sono inginocchiati al capo della maggioranza. È il sogno di mezza estate di Matteo Salvini, che presto chiederà l'obbedienza anche al premier Giuseppe Conte e ai suoi ministri. Tutto questo con un manipolo di parlamentari e senza andare alle elezioni.

Neppure Salvini forse sperava in 160 voti favorevoli, uno in meno della maggioranza assoluta, quella richiesta era di 109 senatori. La minaccia dei dissidenti grillini si è spenta in fretta, solo in cinque non si sono presentati a Palazzo Madama. Fratelli d'Italia si è astenuta e Forza Italia ha scelto di non votare per non abbassare il quorum di maggioranza. I Cinque Stelle hanno votato in massa sì. Zitti, coperti e allineati. Senza un mugugno, ma con il più rassegnato sorriso di circostanza. Salvini brinda, festeggia e ringrazia la Madonna. «Ringrazio Voi, gli Italiani e la Beata Vergine Maria. Mi piace che questa giornata cada il 5 di agosto che, per chi è stato a Medjugorje, rappresenta il compleanno della madre di Cristo». È il Salvini ormai classico, che fa ballare sacro e profano, sicurezza e fede, concretezza e metafisica.

La sfiducia, e la caduta del governo, non sono state mai veramente in gioco. Qualcuno, soprattutto nel Pd, ha finto di sperarci, solo per movimentare queste giornate balneari, come se il Parlamento fosse ancora quello di una volta, al centro della storia politica, e non un luogo dove si ratificano fatti e accordi nati e cresciuti fuori. Allora qui bisogna raccontare cosa è successo al movimento grillino in questi quattordici mesi. È la paradossale avventura di un partito che vince le elezioni e si accorge, giorno dopo giorno, di non avere le abilità per gestire il potere e si lascia scarnificare dal proprio alleato di governo. È lo spettacolo di una candela che si consuma. Per paura. Di Maio ha superato da tempo la linea in cui poteva mandare in frantumi «il patto» senza rimetterci troppo. Non lo ha fatto. Ha lasciato che il leader della Lega prendesse campo e ora non può che temporeggiare. Per fare cosa? Sperare nell'imponderabile. Pregare che Salvini si faccia male da solo o che il presidente Mattarella tenga a bada qualsiasi tentazione elettorale leghista. Il Quirinale dovrebbe garantire che in caso di crisi di governo non si va al voto ma si cerca una nuova maggioranza, magari il leggendario Pd-Cinque Stelle. Ma perché Mattarella dovrebbe farlo? E perché lo stesso Di Maio dovrebbe baciare questo scenario? Un governo di sinistra certifica il suo fallimento come leader grillino e regala a Fico e Di Battista la più antipatica delle rivincite, quella del «te lo avevo detto».

Tra qualche giorno il Parlamento va in vacanza. Domani va in scena un ultimo atto sull'alta velocità. I Cinque Stelle abbasseranno lo sguardo anche lì, davanti alla loro bandiera. Conte annuncia che a settembre si aprirà una stagione di grandi riforme economiche.

Salvini sorride e sgrana il rosario.

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