Ponte crollato a Genova

Sappiamo chi è stato

Più di 30 morti nel crollo del ponte, ma la catastrofe era evitabile. Non è vero che non c'erano i soldi, siamo stati ricattati da chi non vuole le grandi opere

Sappiamo chi è stato

Non cominciamo con la storiella che il ponte autostradale di Genova è crollato inghiottendo il suo carico umano per colpa dei vincoli europei. Quel ponte non doveva crollare, punto e a capo. Sostenere l'inverso è soltanto uno squallido sciacallaggio politico fatto sulla morte di alcune decine di ignari e incolpevoli cittadini. La società Autostrade (azienda privata di proprietà della famiglia Benetton) responsabile del manufatto, trabocca di soldi che non sa più dove mettere. Soldi peraltro frutto di pedaggi da strozzini incompatibili con la qualità del servizio - meglio sarebbe dire disservizio - offerto agli automobilisti. Quel ponte non è crollato perché l'Europa è cattiva e non ci fa spendere ma perché l'Italia è stupida e ferma nelle grandi opere, salvo rare eccezioni tipo l'alta velocità ferroviaria e la variante di valico tosco-emiliana, agli anni Cinquanta. Quel ponte è crollato non perché mancano i soldi ma perché questo Paese è in perenne ostaggio di minoranze demagogiche e stupide che si sono messe di traverso ai già scarsi tentativi di modernizzare tutte le reti di comunicazione via terra. Per decenni lo è stato della sinistra ambientalista, oggi lo è del grillismo che, purtroppo con l'aiuto di un pezzo importante del centrodestra quale è la Lega, sta cercando di fermare i grandi e innovativi progetti già avviati per il trasporto sicuro e veloce delle merci e dell'energia.

Il ministro delle Infrastrutture, il grillino Danilo Toninelli (quello che in campagna elettorale disse di sentirsi geneticamente superiore ai colleghi del centrodestra) può piagnucolare e indignarsi quando vuole, ma è proprio il suo movimento a essersi opposto al progetto di una grande opera a Genova per bypassare quel maledetto ponte che a detta di tutti un giorno o l'altro sarebbe caduto. E sapete qual era lo slogan dei Cinquestelle? Questo: «Non crediamo alla favola del ponte che cade».

Siamo onesti. Altro che Europa, cretini e incoscienti li abbiamo in casa e li abbiamo - non noi - mandati pure al governo, al grido di «basta nuovi ponti che arricchiscono i soliti noti». Per cui teniamoci quelli vecchi, così vecchi che non c'è manutenzione ordinaria o straordinaria che ne possa garantire la stabilità. E questo al di là di errori, omissioni e ladrerie umane che evidentemente ci sono state e andranno perseguite.

I ponti non sono dei monumenti eterni, sono logorati dalla vita più o meno come capita a un uomo e dopo una certa età non c'è lifting o medicina capace di tenerlo in forma e garantirgli l'immortalità. La «favola del ponte che cade» si è avverata perché abbiamo dato, e ahimè continuiamo a dare, credito a questi venditori di fumo tipo Toninelli, travestiti da statisti e modernizzatori. Per liberarci di vecchi ponti e grandi opere dobbiamo prima liberarci di chi si oppone ai nuovi. Purtroppo, vista l'aria che tira, la seconda cosa sarà più difficile della prima. Ma se non vogliamo andare avanti a lutti di Stato dobbiamo provarci, non con il cemento ma con il voto.

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