Cronache

Gli scafisti prima della strage: "Teniamo i migranti a pane e acqua"

Sui barconi dela speranza i migranti sottoposti a ogni genere di sopruso. Stuprata una ragazzina incinta. Il racconto choc dei sopravvissuti: "Quei bimbi morti davanti ai nostri occhi"

Gli scafisti prima della strage: "Teniamo i migranti a pane e acqua"

"C'erano almeno 40 bambini in acqua e nessuno si è salvato. Il capitano, nonostante le centinaia di persone in mare, li ha abbandonati lì, lasciandoli annegare uno dopo l'altro". I racconti di chi è sopravvissuto sono l'ennesima frustata a un'Europa incapace di mettere fine all'orrore nel canale di Sicilia. Dopo i morti di Lampedusa nell'ottobre 2013, sull'isola si precipitarono i leader europei per promettere che "mai più" si sarebbero contate così tante vittime. Promesse, appunto, rimaste tali. Come tale è rimasto il Mediterraneo: una immensa bara per migliaia di disperati.

Gli immigrati che sono riusciti a sfuggire al mare e ai trafficanti hanno ancora negli occhi il terrore e nel fisico i segni delle violenze subite. "Spesso in molti hanno ferite da arma da taglio - raccontano gli investigatori che da anni lavorano per scovare gli scafisti che si nascondono tra i migranti - segni di bruciature e lividi dovuti alle botte prese in Libia. Nella migliore delle ipotesi sono stremati dalla fame e dalla sete". Erano in queste condizioni anche i superstiti del naufragio avvenuto giovedì al largo della Libia. E il loro racconto è un concentrato di disperazione e infamia. "Dopo circa 8 ore di navigazione - hanno raccontato i sopravvissuti - il peschereccio trainato ha iniziato ad imbarcare acqua. Abbiamo fatto una catena umana, provando in tutti i modi a svuotare il peschereccio". L'incubo è durato un'ora e mezza, con il peschereccio che andava sempre più giù. Poi la fine. "Quando la barca era quasi tutta sotto il pelo dell'acqua, il capitano ha ordinato ai passeggeri di tagliare la cima che serviva per trainare". Il capitano, secondo gli uomini della squadra Mobile di Ragusa, è Adam Sarik, un sudanese di 29 anni. C'era lui al timone e potrebbe essere uno degli scafisti appartenenti ad una delle tante organizzazioni che operano indisturbate nella Libia senza alcun controllo.

Nelle stesse ore è affondato un altro barcone che stava facendo rotta sull'Italia. Sulla base delle testimonianze rese da numerosi immigrati, sono stati identificati gli scafisti, due 25enni senegalesi, e sono state ricostruite le drammatiche fasi della traversata, durante la quale i clandestini, segregati e nutriti a "pane e acqua", venivano sottoposti a ogni genere di soprusi e brutali violenze, anche sessuali. Tra gli sbarcati c'era anche una sedicenne stuprata e incinta. Dalle indagini è emerso che i due "scafisti" si occupavano, rispettivamente, della conduzione dell'imbarcazione con l'ausilio di una bussola e della richiesta di soccorso attraverso un telefono satellitare.

Per la traversata dalla Libia ciascun immigrato è stato costretto a versare circa 1.200 dinari libici agli spietati membri di una pericolosa organizzazione criminale di trafficanti di esseri umani. La legge dei barconi è sempre la stessa: chi paga di più ha diritto a stare in coperta, e ad avere una speranza di salvarsi se le cose vanno male. Chi non ha soldi a sufficienza finisce invece nella stiva, stipato come sardine. In quel caso la morte è certa. Sul fondo del canale di Sicilia ci sono decine di barconi dove uomini, donne e bambini sono ancora accatastati uno sull'altro. Uno di questi, quello naufragato ad aprile del 2015 con quasi 700 a bordo, il governo ha deciso di riportarlo a galla, per dare un'identità e una sepoltura agli immigrati. Ma finora i tentativi sono andati a vuoto e il peschereccio è ancora in fondo al mare.

A Reggio Calabria sono stati accusati anche di naufragio gli scafisti Azridah Abdelfatah, 34enne marocchino, e Torki Omar, 30enne siriano, responsabili di uno sbarco che ha causato la morte a 45 persone. "Addosso a questi - ha spiegato il procuratore aggiunto Gaetano Paci - sono stati rinvenuti banconote di vario corso legale, un cellulare per le comunicazioni transnazionali, e soprattutto grazie alle deposizioni di molti migranti che ci hanno permesso di ricostruire quello che era accaduto nel corso dei tre giorni di viaggio".

Insieme ai due finiti in manette ci sarebbe stato un terzo scafista, un sudanese che, ha detto Paci, "sarebbe deceduto nel naufragio".

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