Cronache

Gli "schiavi" in azienda: 4 arresti a Tarquinia

Due euro l’ora gli straordinari, poco più di tre euro le normali ore lavorative. E per chi minacciava di “spifferare” tutto ai finanzieri l’incubo del licenziamento

Gli "schiavi" in azienda: 4 arresti a Tarquinia

Due euro l’ora gli straordinari, poco più di tre euro le normali ore lavorative. E per chi minacciava di “spifferare” tutto ai finanzieri l’incubo del licenziamento. E persino una donna sequestrata in una catapecchia per convincerla a stare zitta. Tredicesima, ferie e malattie retribuite? Neanche a parlarne. Una fabbrica dell’orrore quella scoperta a Tarquinia, cittadina della Tuscia tra Viterbo e Civitavecchia, dove stamattina all’alba sono stati arrestati i quattro titolari di un’azienda metalmeccanica e denunciato il loro commercialista. I reati vanno dall’estorsione al sequestro di persona, minacce ai danni di lavoratori, truffa aggravata ai danni dell’Inps. Settanta gli operai, tutti italiani e della zona, costretti a subire per anni le angherie dei titolari della piccola impresa meccanica, con “l’assoluto disprezzo della dignità dei lavoratori, costretti a tollerare un regime di vita insostenibile per garantire la propria sopravvivenza” scrivono il procuratore del Tribunale di Civitavecchia, Andrea Vardaro e il sostituto Alessandra D’Amore nell’ordinanza di custodia cautelare. Secondo le indagini dei finanzieri gli operai erano costretti ad accettare una retribuzione oraria di gran lunga inferiore a quella prevista dal contratto collettivo di lavoro per i metalmeccanici (3,90 euro l’ora contro 8,28 euro previsti). “Per non parlare delle ore di straordinario - puntualizza il capitano Antonio Petti, comandante della compagnia di Tarquinia della Finanza - pagate in modo irrisorio: due euro contro i 12,42 previsti. In alcuni casi, addirittura, senza retribuzione”. Spesso, dunque, i dipendenti lavorano senza un soldo di paga per riparare cattivi assemblaggi oppure, queste le motivazioni dei titolari, per “il mancato raggiungimento del numero minimo giornaliero di pezzi previsti”. Insomma, se non produci abbastanza lavori gratis, lo slogan spauracchio per le decine di lavoratori che, pur di arrivare a fine mese, subivano angherie di ogni tipo. Un salto nel tempo quello a cui hanno assistito gli inquirenti che hanno lavorato sul caso per oltre un anno. Pedinamenti, appostamenti con video riprese e, soprattutto, il racconto delle vittime di un “sistema perverso” messo in atto dalla nota azienda tarquiniese per aumentare i profitti. Sono però i documenti contabili ed extracontabili a raccontare al meglio quello che accadeva all’interno della fabbrica. Per tutti niente trattamento di fine rapporto: secondo quanto accertato dagli investigatori, ai dipendenti, ogni volta che avveniva un cambio societario, veniva fatta firmare una liberatoria in cui si metteva nero su bianco l’avvenuto pagamento del Tfr. Tutto falso, ovviamente, dettato dallo spettro del licenziamento in caso qualcuno si fosse rifiutato. Contratti part time, poi, solo sulla carta: quattro ore di lavoro contro le reali otto - dieci ore effettuate. Per essere convincenti e mettersi al riparo da denunce gli aguzzini costringevano i dipendenti a firmare lettere di dimissioni in bianco, tutte rinvenute durante la perquisizione nello studio del consulente del lavoro. Una situazione che perdura da almeno 9 anni e che non si è fermata nemmeno dopo i primi controlli dell’agosto 2016. Anzi, durante le indagini, sottolineano gli inquirenti, ci sono stati vari tentativi di ostacolare le stesse e influenzare i testimoni. E qui avviene il sequestro di persona di un’operaia, portata via con l’inganno e rinchiusa per ore in un casolare in aperta campagna. Minacce e intimidazioni alla donna per convincerla a non parlare. Alla vittima viene persino sottratto materiale, poi rinvenuto durante le perquisizioni negli uffici degli indagati, e che sarà portato in aula come prova. La truffa all’Inps veniva portata avanti ogni due o tre anni: licenziati da una società, i lavoratori venivano assunti da un’altra ditta comunque riconducibile e gestita dagli stessi imprenditori. Questo per privare i dipendenti del trattamento di fine rapporto con la minaccia della mancata riassunzione nella nuova società. L’arma? La liberatoria in cui si dichiarava di aver ricevuto il denaro e di non aver niente altro a pretendere. Non solo. In questo modo si poteva beneficiare illegalmente delle agevolazioni contributive previste per le nuove assunzioni e per la trasformazione dei contratti di lavoro previste dalle leggi di stabilità del 2014 e del 2015. Il gip, Giusi Bartolozzi, ha disposto per C.A. di 63 anni, C.P.E. di 32 anni il carcere di Borgata Aurelia, per P.P., 54 anni e V.T., 34 anni gli arresti domiciliari. Infine il consulente del lavoro, il suggeritore perverso delle manovre fraudolente, il ragionier M.A., tarquiniese di 39 anni, dopo essere stato interdetto dall’esercizio dell’attività professionale, ha ricevuto la notifica del provvedimento cautelare dell’obbligo di firma in caserma. I finanzieri hanno anche calcolato il profitto derivato dai reati, oltre un milione e 200mila euro di cui 140mila euro di contributi previdenziali e assistenziali evasi.

L’azienda non ha chiuso i battenti ma la sua gestione è stata affidata a un amministratore giudiziario nominato dal Tribunale di Civitavecchia.

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