Cronache

Gli schiavi della vendemmia

Sono quasi ventimila in tutta Italia. Un giro d’affari per chi usufruisce della loro manodopera impressionante e un guadagno di oltre cento milioni. Ma le condizioni di queste persone non sono minimamente tutelate

Gli schiavi della vendemmia

Li chiamano gli “schiavi della vendemmia”. Lavorano 12 ore al giorno , dalle sette alle 19 di sera sotto un sole cocente. Dal Monferrato alla Sicilia sono loro che per pochi soldi raccolgono grappoli a ritmi forsennati. Arrivano soprattutto dalla Macedonia e Bulgaria. Una trasferta di oltre 1,700 chilometri solo per guadagnare al massimo cinque euro all’ora. Una miseria per un italiano ma una vera fortuna per un cittadino bulgaro. In trenta giorni infatti l’equivalente di quei cinque euro all’ora possono diventare quello che di fatto è un misero stipendio di cinque, sei mesi di lavoro in Bulgaria. Il passaparola nel loro paese fa sì che in molti arrivino qui con la speranza del guadagno facile. La spesa del viaggio in fondo non è eccessiva. Bastano 70 euro per il biglietto dell’autobus o i soldi necessari per la benzina e l’autostrada. Alcuni di loro non portano nulla con sé. Solo i vestiti che indossano, I più fortunati riescono a trovare un posto dove dormire nelle cascine abbandonate o nei piccoli appartamenti dove dormono anche in venti. Gli altri purtroppo si ritrovano a dormire per strada. Sono quasi ventimila in tutta Italia. Un giro d’affari per chi usufruisce della loro manodopera impressionante, oltre cento milioni. Ma le condizioni di queste persone non sono minimamente tutelate. E tantomeno i loro contratti, la maggior parte tutti fuorilegge. Per non parlare degli orari disumani. Una pratica così diffusa che ha insospettito anche la Guardia di Finanza. In un unico controllo pensate, hanno scoperto 106 lavoratori in nero tutti smistati in centoquarantaquattro aziende vinicole. Presenti anche molte donne, le quali ricevono per la loro manodopera un salario ancora più basso . E fra le colline della Langhe, Roero e Monferrato non è difficile trovare sulla strada sterrata tende costruite con plexiglas e coperte. Asciugamani e vestiti stesi, attrezzi da cucina, spazzatura e bottiglie di plastica. E per questi poveri sfruttati il massimo degli agi è almeno potersi lavare e mangiare qualcosa per affrontare le dure giornate che gli spettano. E fra i vigneti tra nord e sud le condizioni di questi migranti non cambiano . Come non ricordare il caso di Paola Clemente, bracciante di 49 anni, morta sfiancata dal caldo il 13 luglio scorso. O il caso di Zaccaria, un tunisino di 50 morto a Modugno, vicino Bari. Un business illecito ma indubbiamente proficuo che sta scatenando una guerra fra poveri. I macedoni che sono arrivati prima negli scorsi anni ora hanno imparato a sfruttare i “colleghi” provenienti dal sud della Bulgaria. Una specie di contratto a chiamata dove sono in molti ad arrivare. Da parte dei Comuni per cercare di evitare il totale degrado, la tolleranza è zero. Dal nord al sud Italia si cerca di sanzionare chi assume questi lavoranti in nero . Ma non è così semplice come può sembrare. Nonostante i vigili che ispezionano i filari, i braccianti dopo dodici ore di fila passati a lavorare, di colpo diventano invisibili andandosi a nascondere nei posti più impensati. A Trapani la situazione è ancora più difficile. Qui infatti oltre i Bulgari arrivano anche dal Marocco e Tunisia. Non solo, si è creato anche un conflitto tra braccianti stagionali e i rifugiati. E se i secondi dormono nei centri di accoglienza e vengono anche nutriti e curati i primi vivono in condizioni ancora più misere accentando paghe ancora più irrisorie.

Un degrado non solo territoriale ma anche umano che, con i continui sbarchi non farà che aumentare, in peggio la situazione già delicata e preoccupante degli sbarchi in Italia.

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