Cronache

La sconfitta dello Stato che si appella ai samaritani

La sconfitta dello Stato che si appella ai samaritani

Nel deserto di Giuda, dove l'aria torrida fa quasi più paura degli strapiombi, non ci sono discoteche, né cric, né cocaina. E forse è proprio per questo che quel luogo così inospitale oggi sembra meglio di Alatri.

Il deserto di Giuda è il teatro della parabola del buon samaritano. Quello che, nelle strazianti parole della madre di Emanuele, avrebbe potuto salvare suo figlio, aggredito come il viandante rapinato dai predoni nel Vangelo di Luca. «Sei morto per la cattiveria umana, figlio mio. Non hai trovato il buon samaritano», è un atto di accusa a un paese che ha peccato di ignavia e miseria morale. È il dramma di una comunità che costringerà quella donna a chiedersi per il resto della vita cosa sarebbe successo se quella sera qualcuno avesse avuto più coraggio. Ma il coraggio - manzonianamente - uno non se lo può dare. Le regole e la legge sì. Il buon samaritano incappa in un viandante picchiato e ignorato da sacerdoti e leviti, ma non deve sfidare torme di banditi armati di manganelli e cric. È un gesto di misericordia verso «il prossimo», non un atto di eroismo. Il buon samaritano ad Alatri invece sarebbe finito in ospedale, o forse in un'altra bara bianca accanto a quella entrata in chiesa ieri. Davanti al Mirò non sarebbe servito un samaritano, ma uno squadrone di marines. Il problema, dunque, non è stato solo l'assenza di pietà, ma l'assenza di Stato, giustizia e comunità. Un Paese che funziona non ha bisogno né di eroi, né di buoni samaritani perché può contare sui suoi centurioni e sul suo sinedrio.

Perché in fondo ad Alatri sono tutti colpevoli. Certo, la folla farisea che, restando a guardare, ha scelto i Barabba di cui aveva paura e ora minaccia vendetta come riflesso pavloviano della codardia; ma anche i centurioni-buttafuori che, invece di ristabilire l'ordine, hanno dato in pasto l'agnello ai lupi, e il gip Ponzio Pilato che ha scarcerato uno dei killer lavandosene le mani. Emanuele è stato ucciso da pregiudicati feroci e tossicodipendenti e nessuno lo ha salvato, ma una società che delega al singolo la sicurezza è una società che non fa il suo dovere. È naturale provare sgomento se decine di persone assistono a un massacro senza fare nulla. Ma la pochezza umana fa paura perché potrebbe essere la nostra. Fa paura perché, parafrasando Dostoevskij, «il vigliacco si abitua a tutto».

Sicché ora ci indigniamo, ma ci abitueremo all'ignavia collettiva come ci siamo abituati a uno Stato che davanti alla violenza si appella ai riservisti dell'esercito dei buoni samaritani.

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