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Se la Germania preferisce i jihadisti a chi li ferma

Dopo la scelta della cancelliera di non premiare gli agenti che hanno ucciso Amri

Se la Germania preferisce i jihadisti a chi li ferma

Quando a Colonia la notte di San Silvestro del 2015 decine di donne subirono le molestie di bande di migranti nordafricani la principale preoccupazione del governo tedesco fu tenere nascosta la notizia. Lo stesso successe a Friburgo lo scorso ottobre, quando per settimane calò il silenzio sull'uccisione della 17enne Maria Ladenburger violentata e gettata nel fiume Dreisam da un richiedente asilo afghano. Ai primi di dicembre Berlino mise invece la sordina sulla vicenda di un ragazzino iracheno di 12 anni convinto da un migrante legato all'Isis a colpire con una bomba i mercatini di Natale della città di Ludwigshafen. Ora quella stessa Germania, sempre pronta a coprire le malefatte di migranti trasformatisi in criminali e di terroristi islamici, ci fa sapere di non ritenere degni d'una medaglia Cristian Movio e Luca Scatà, i due agenti del Commissariato di Sesto San Giovanni che il 23 dicembre intercettarono e uccisero il terrorista Anis Amri, responsabile della strage di Berlino. La decisione, a sentir i solerti funzionari del governo di Angela Merkel, sarebbe motivata dal timore di premiare due agenti colpevoli di aver pubblicato su Facebook un'immagine di Mussolini e qualche simbolo in odore di razzismo e neofascismo. Per la «grande» Germania di Angela Merkel una foto «politicamente scorretta» pubblicata su un dominio privato come Facebook basta, insomma, a vanificare i meriti di chi ferma uno stragista jihadista. Uno stragista che, dopo aver colpito a Berlino, era riuscito, complice l'insipienza e l'inefficienza delle forze di sicurezza tedesche, a uscire dalla Germania e ad arrivare nel nostro Paese.

E allora diciamolo, una volta di più: la piccola Italia si dimostra un Paese infinitamente più efficiente, più coraggioso, più umano di questo gigante teutonico prono ai vezzi e alle paure del politicamente corretto. La grandezza dell'Italia e, in questo caso, anche del suo ministro dell'Interno Marco Minniti, è quella di aver scelto d'anteporre la riconoscenza alla sicurezza, rivelando - con un gesto apparso inizialmente sconsiderato - i nomi dei due agenti responsabili dell'uccisione del terrorista Amri. Se paragonato alle paure, alla meschinità, all'insipienza del governo tedesco quel gesto rivela oggi tutta la sua superiorità. Esibendo i nomi di quei due servitori dello Stato l'Italia si è erta a loro madrina, a protettrice delle loro vite e della loro sicurezza futura. E lo ha fatto senza chiedersi chi fossero o cosa avessero fatto.

La condotta esibita in una circostanza assolutamente straordinaria bastava, infatti, ad assolverli da qualsiasi precedente peccato veniale. Rivelando la loro identità lo Stato ha fatto capire, inoltre, di non temere i terroristi, di sentirsi in grado di combatterli e di avere i mezzi per proteggere i propri uomini. Esattamente l'opposto di quanto fa una Cancelliera Angela Merkel che - dopo aver costretto l'intera Europa ad aprire le porte agli immigrati, e con loro a non pochi terroristi - si dimostra incapace di fronteggiare i propri errori, arrivando a nasconderne le conseguenze pur di garantirsi una sopravvivenza politica. Ma, forse, la colpa più grave del Paese definito a volte la «locomotiva d'Europa» è quella di trascinarci verso il baratro.

Nel momento in cui servono certezze ed esempi per combattere un terrore jihadista sempre più pervasivo la preoccupazione della Cancelliera Merkel e dei suoi gregari non è premiare due eroi del nostro tempo, esempi viventi di come si difenda la sicurezza dei cittadini, ma far dimenticare la scolorita immagine di un Mussolini scomparso 71 anni fa resuscitata nel privato di un indirizzo Facebook.

Se queste sono le paure e le preoccupazioni della Germania allora fermate l'Europa, vogliamo scendere perché quella che ci trascina non è una locomotiva, ma una scassata tradotta diretta lentamente, ma inevitabilmente, verso il baratro della sconfitta.

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