Cronache

Se gli intellettuali scoprono il male nascosto nell'islam

Ci voleva Dacca per smuovere le acque: i media sul buonismo ci ripensano

Se gli intellettuali scoprono il male nascosto nell'islam

L'invito che da più parti, da tempo, si sente rivolgere al mondo musulmano, è che l'islam moderato condanni senza se e senza ma l'islam assassino e violento. Ma da quelle parti tutto tace. In compenso, chi ha iniziato a parlare è l'intellettuale moderato. Non è la stessa cosa, ma un ottimo inizio. Timidamente, con cautela, le centrali di influenza dell'opinione pubblica - grandi quotidiani, programmi di informazione delle tv generaliste - hanno intrapreso una significativa «conversione» davanti al problema del rapporto tra islam e Occidente, dei flussi migratori ormai fuori controllo, del reale significato della parola multiculturalismo. E la lancetta che indica l'oscillazione verso «destra» del sentire comune su temi così delicati, è proprio la classe intellettuale. La quale, notoriamente, non precede mai, ma segue il buon senso popolare.

E così ieri, il giornale moderato per eccellenza, il Corriere della Sera, è uscito con un editoriale (pezzo che in teoria dovrebbe indicare la linea della testata) firmato da Ernesto Galli della Loggia dal rumoroso titolo Le parole che l'Islam non dice. Occhiello: «Violenza e silenzi». E, infatti, il pezzo è un intelligente j'accuse contro «il buonismo di principio, i giudizi programmaticamente tranquillizzanti, gli equilibrismi» con i quali si è soliti rapportarsi col mondo islamico. Un attacco coraggioso all'ultracorrettismo politico e alla carità pelosa. Una sveglia per chi, oltre ogni evidenza, nega che la fede islamica abbia «un problema specifico tutto suo con la violenza». Problema, soprattutto, che viene taciuto e sottovalutato dalla restante intellighenzia buonista e progressista. «Da anni - scrive Galli della Loggia - terroristi islamici seminano dovunque la morte, ma l'opinione occidentale si sente puntualmente ripetere che la loro religione non c'entra nulla». Una bugia che sfregia la memoria dei morti di Dacca e di tutte le vittime dei massacri jihadisti. C'è di che indignare le anime belle e buoniste della sinistra salottiera, di lotta e di governo e da talk show.

Le parole che l'Islam non dice sono tante, e quelle che non si dicono sull'Islam ancor di più. Ogni tanto, però, qualcuno, e non da destra, e anche in Italia - sull'onda francese degli intello islamico-scettici à la Houellebecq, Zemmour, Finkielkraut, Renaud Camus e Onfray - alza la voce. Giovanni Sartori, fiorentino e fior di politologo, 92 anni e decenni di studio sui temi-chiave dell'immigrazione, di islam e di Europa, pochi mesi fa, proprio al Giornale, aveva detto con chiarezza fastidiosa (per molti) come una comunità musulmana teocratica che non distingue il potere politico da quello religioso non potrà mai integrarsi con la nostra società occidentale, liberale, laica e democratica. Pensarlo è una pericolosa illusione.

E dopo la strage al Bataclan di Parigi anche l'essenza ed eminenza stessa del pensiero «moderato», Paolo Mieli, firmò sul Corriere della sera un commento (per molti) scomodo che scoperchiava l'ipocrisia di tanti #JeSuisCharlie dalla memoria corta, denunciando i danni micidiali del politicamente corretto applicato all'islam radicale.

Anche lui alla fine ha accettato l'idea che il problema non sono gli islamici, che possono essere moderati, buoni, cattivi, intelligenti, ignoranti, intolleranti o stragisti, dipende. Ma è l'islam. Un blocco monolitico e monoteista che non accetta compromessi e odia l'Occidente.

E - andiamo in ordine sparso - lo stesso Enrico Mentana, un campione di «correttezza» e di equilibrio quando si parla di informazione - pochi giorni fa, trascinato dai fatti di Dacca, è sbottato contro i «cani rabbiosi» che hanno ammazzato nove italiani innocenti, puntando il dito contro (ancora una volta) la mancata sollevazione di massa delle comunità musulmane del mondo.

E il popolo della rete, stando alle migliaia di commenti al suo post, è con lui. Quel popolo che l'altro ieri, in una tardiva ammissione di colpa, Piero Fassino ha detto che avrebbe dovuto ascoltare prima, pensando al sempre più difficile rapporto di convivenza tra italiani e immigrati dai Paesi islamici. Fino ad ammettere che «stiamo arrivando al superamento della quantità di immigrati governabile».

Come un Salvini qualsiasi.

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