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Michele, la vittoria ha il suo nome

Phelps ispirato da Jordan che dominò con Tyson e Schumi, Indurain e Doohan

Michele, la vittoria ha il suo nome

"Michele chi?". Se si fosse parlato di sport a Enzo Siciliano, nell'anno di grazia 1996, non sarebbe mai venuto in mente di porre la famosa domanda che fece inacidire Santoro. Perché negli anni Novanta lo sport si chiamava proprio così: Michael, Mike, Mick, Miguel o Michael (da pronunciare Mishaèl, alla tedesca). Un nome, che - nelle sue diverse varianti - è diventato sinonimo di basket, pugilato, ciclismo, atletica, motociclismo, automobilismo. E poi nel ventunesimo secolo anche di nuoto, ma ci arriveremo.

Facendo un gran bel passo indietro, e per la precisione all'inizio dei tempi, Michele (Mi-ka-El) fu il grido di battaglia con cui l'Arcangelo fedele, quello che fece precipitare Lucifero negli inferi, si scagliò contro le orde di Satana. Significa "chi è come Dio". Chissà se l'avevano spiegato anche a Larry Bird, che una volta, parlando del suo collega Michael Jordan, disse per l'appunto: "Penso sia semplicemente Dio travestito da giocatore di pallacanestro". Se Michel Platini era stato il primo a incidere questo nome nella leggenda sportiva diventando l'icona del calcio prima di Maradona, "Air" è stato semplicemente il più grande di tutti: un simbolo universale e ineguagliabile di perfezione. Che comunque all'epoca, in quanto Michele, era in splendida compagnia.

C'era il gigante spagnolo Indurain, che coi suoi cinque Tour de France vinti consecutivamente riscrisse la storia della grande boucle cancellando il record di Anquetil e Merckx. C'era l'australiano Doohan, capace di un pokerissimo nella classe regina delle moto che neppure Valentino Rossi ha saputo eguagliare. C'era Michael Johnson, lo sprinter impettito che ci fece invecchiare in 19 secondi e 32 centesimi polverizzando il Mennea di Città del Messico. E c'erano Tyson e Schumacher, rispettivamente il più giovane e feroce campione del mondo nella storia dei pesi massimi, capace di mandare al tappeto i primi 19 avversari che hanno avuto la sventura di finirgli davanti, e il cannibale della Formula 1.

Poi è girato il millennio e a raccogliere il testimone è arrivato un ragazzone di Baltimora, che a vederlo sembra tutto l'opposto di un dio greco e che invece l'altro giorno è diventato l'atleta olimpico più decorato nella storia dell'umanità: nel 152 a. C. Leonida da Rodi si fermò a quota dodici medaglie d'oro individuali, mentre Michael Phelps, ha azzeccato un tredici da fantascienza. "Ho cercato di fare nel nuoto quello che Jordan ha fatto nel basket - ha detto lo Squalo delle piscine -, lui è sempre stato la fonte di ispirazione per tutta la mia carriera". Da un Michael all'altro, insomma, in una staffetta di gloria e di immortalità.

Adesso però anche Phelps ha annunciato il ritiro e stavolta sembra proprio che faccia sul serio, per cui i giochi di Rio rischiano di chiudere almeno momentaneamente l'epopea dei Michele. Come a volerlo ribadire, anche il sudafricano Wayde van Niekerk ci ha messo il carico da undici togliendo a Michael Johnson l'ultimo record che gli aveva lasciato Bolt, quel 4318 sui 400 metri che resisteva da 16 anni e pareva inattaccabile.

Sic transit gloria Michaelorum, anche perché quelli azzurri (nella nostra spedizione olimpica ci sono Santucci nel nuoto, Benedetti nei tuffi e il francese Michael Bodegas acquisito dalla pallanuoto) non sono in grado di arrivare a certe altezze. Il trono onomastico dello sport sta per essere vacante: quale sarà la prossima dinastia, quale sarà il prossimo sinonimo di vittoria?

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