Cronache

E se la molestatrice è una femminista i colleghi si coalizzano per difenderla

Fa discutere il caso della Ronell, accusato da un suo studente

E se la molestatrice è una femminista i colleghi si coalizzano per difenderla

C'è una persona potente accusata di molestie sessuali ai danni di una persona più debole, negli Stati Uniti. E c'è il suo ambiente di lavoro che si stringe senza esitazioni a sua difesa. Inconsueto, nell'epoca del caso Weinstein e del #metoo. Un po' meno strano se si pensa che l'accusato è una accusata. Femminista, per di più.

Difficile non farsi visitare dal demone del dubbio dopo avere conosciuto la vicenda che interessa Avital Ronell, scrittrice sessantaseienne di origine israeliana (ma nata a Praga) , professoressa di germanistica e letteratura comparata alla New York University. Una donna magra e occhialuta, dalla carriera accademica bizzarra e controcorrente. La donna, che peraltro ha realizzato una ricerca come «Trauma and Violence project» , è accusata da uno studente la cui identità non è rivelata, sulla trentina, che sostiene di essere stato molestato sessualmente da lei. Sulla Ronell è stata aperta un'inchiesta in base al cosiddetto Titolo IX, la legge firmata da Nixon contro la discriminazione, che di solito viene utilizzata per la difesa delle donne molestate ma stavolta si ritorce contro il gentil sesso.

Naturalmente le accuse vanno provate e di questo si occuperanno gli investigatori e i giudici. Ma qualcosa di rilevante è già accaduto: il rettore della Nyu ha ricevuto sul suo tavolo una lettera datata 11 maggio e firmata da uno stuolo di professori, scrittori, intellettuali, tra i quali alcune delle più note studiose del femminismo. Tutti certi dell'innocenza della Ronell, pur senza conoscere i fatti. E tutti preoccupati del fatto che la collega possa essere danneggiata dallo scandalo e possa perdere il suo lavoro. Nemmeno un dubbio sul fatto che la Ronell possa davvero avere compiuto gli atti che le vengono contestati. «Sebbene non abbiamo accesso al dossier confidenziale - si legge nella missiva - abbiamo tutti lavorato per molti anni a stretto contatto con la professoressa Ronell e potuto constatare la sua capacità di insegnante e di studiosa, come capo dei dipartimenti di tedesco e letteratura comparativa alla New York University. Abbiamo tutti visto il suo modo di relazionarsi con gli studenti e qualcuno di noi conosce chi ha diffuso questo campagna infamante contro di lei». Seguono manifestazioni di stima e ammirazione nei confronti della Ronell e affermazioni della convinzione che le accuse facciano parte di un disegno diffamatorio.

Tra i firmatari della lettera c'è anche l'intellettuale di origine slovena Slavoj Zizek, che ha voluto precisare il motivo per cui ha firmato la lettera: «Conosco i dettagli delle accuse contro di lei e li trovo semplicemente ridicoli. Come li ho saputi? Non dalla stessa Avital, che ha sempre osservato un dignitoso silenzio». Zizek racconta di avere potuto visionare, nel corso di una sua permanenza alla Nyu proprio nel momento in cui esplodeva il caso Ronell, alcuni appunti «di cui non posso dire nulla» ma che dimostrerebbero con certezza che le accuse contro la professoressa sono un castello di carta. Quali siano le prove a disposizione dei difensori della Ronell non è al momento dato sapere. E secondo alcuni osservatori, tra cui il filosofo Brian Leiter che ha per primo parlato della lettera nel suo celebre blog leiterreports, potrebbe rivelarsi addirittura un autogol per la Ronell, sospettata di essere l'ispiratrice del «manifesto». Di certo resta la sensazione che se è un uomo a essere accusato di molestie non si perde tempo a trasformarlo in un orco e anche l'ambiente che lo circonda si affaccenda per prenderne le distanze e isolarlo, mentre se è una femminista a subire le stesse accuse queste ultime non possono che essere fantasiose e addirittura una macchinazione. Fa sorridere il fatto che per la Ronell vengano considerate come una prova o quanto meno un'attenuante la sua reputazione internazionale di studiosa e la validità dei suoi lavori.

Un po' come se Harry Weinstein dovesse essere scagionato, o quanto meno perdonato, solo per il fatto di avere prodotto qualche buon film.

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