Economia

Ma senza governo la Borsa vola

Ma senza governo la Borsa vola

Mentre da Roma arrivano notizie sempre più negative rispetto alla formazione di un governo, a Milano la Borsa vola. E vola sul serio: ieri l'indice dei principali 40 titoli (Ftse Mib) ha chiuso a 24.265 punti, in rialzo dell'1,2%. Per trovare Piazza Affari a questi livelli, sopra quota 24mila, bisogna fare un viaggio nel tempo di quasi 9 anni. Era l'ottobre 2009: Silvio Berlusconi era presidente del Consiglio, la crisi economica era alle porte mentre quella dello spread sarebbe arrivata solo nel 2011.

Che la Borsa vada su e giù, nel tempo, è cosa arcinota. Tuttavia fa impressione vedere con quale forza il mercato italiano stia risalendo la china proprio adesso, quando dalle urne del 4 marzo è uscito forse il peggior risultato della storia italiana in termini di governabilità. Mentre certe resistenze storiche, come quella di «quota 24mila» sono state bruciate proprio in questi ultimi giorni, quando si sono definitivamente chiusi i «due forni» nei quali doveva lievitare il nuovo esecutivo. Qualcuno poteva pensare che la certificata ingovernabilità - con il rischio di elezioni anticipate e al buio, piuttosto che con quello di una crisi istituzionale allargata anche al Quirinale - avrebbe maldisposto gli investitori. Invece no, niente. Dal 4 marzo a ieri l'indice principale della Borsa di Milano è cresciuto dell'11,2%, contro il 6,6% di quella di Francoforte o il 7% di Parigi. Wall Street nello stesso periodo è addirittura negativa. Un altro indice di forza dei nostri mercati, lo spread tra i rendimenti dei Bund e quelli del Btp, dopo le elezioni è sceso fin sotto i 120 punti: non accadeva dall'estate del 2016.

Una possibile spiegazione tecnica c'è, ed è la miscela tra la liquidità della Bce, che continua a comprare titoli di Stato, e la ritrovata salute delle banche italiane, da cui dipende circa il 70% delle variazioni dell'indice di Borsa, e che hanno le tasche piene proprio di titoli di Stato. Dopodiché c'è anche un'altra spiegazione. Per nulla tecnica, ma molto realistica.

È che nell'era della globalizzazione e delle tecnologie e dopo l'esperienza della grande crisi, la politica ha mostrato tutta la sua nudità. Impotente se non addirittura dannosa. A maggior ragione in Italia, dove più che altrove è litigiosa e inconcludente. Così il mercato, che forma i prezzi dei beni, ha imparato a non dare più di tanto peso alla politica. Specialmente in un Paese marginale come l'Italia.

Questo non significa che si possa fare a meno di un governo, naturalmente. Ma sembra indicare che il ruolo del potere esecutivo risulta in qualche modo ridimensionato rispetto ad altri poteri, come quelli delle Banche centrali per esempio, o ad altre dinamiche. Per cui importa poco o niente se l'attuale governo è quello in carica da prima delle elezioni o se sia espressione dei nuovi equilibri democraticamente usciti dalle urne. In assenza di un problema specifico, o di un motivo per attaccare i nostri Btp, i mercati hanno altri pensieri. Quando la Bce terminerà di acquistare titoli di Stato, allora sì che bisognerà guardare con quale capacità il governo italiano si occuperà della gestione del debito pubblico. E del deficit di bilancio.

In attesa di quel momento gli investitori possono continuare a disinteressarsi della politica.

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