Cronache

Fuori dai Mondiali di calcio capiremo meglio il Tricolore

Ora che non dobbiamo più agitarlo per tifare (forse...) ne apprezzeremo l’essenza: l’essere un simbolo di tutti

Fuori dai Mondiali di calcio capiremo meglio il Tricolore

«Tiriamo fuori dai cassetti la nostra memoria, per non dimenticare gli orrori e le minacce, ma anche le grandi conquiste di civiltà e di welfare. La bandiera è costitutiva della nostra identità». Con queste parole, pronunciate ieri a Reggio Emilia, il presidente del Consiglio, Paolo Gentiloni, ha voluto omaggiare il vessillo nazionale nel 221° anniversario dall'adozione del primo tricolore rappresentativo di uno stato italiano. Non si trattava ancora, naturalmente, del Regno d'Italia unificato sotto i Savoia, bensì di una «repubblica sorella» francese, costituita nell'Italia settentrionale dopo l'invasione napoleonica della penisola: la Repubblica Cispadana, con capitale Bologna.

A quel tempo il tricolore aveva strisce orizzontali anziché verticali, una configurazione comune ad altre bandiere di matrice francese, ma i colori erano già quelli che ci rappresentano nel mondo: verde, bianco e rosso. Per avere un tricolore più simile a quello odierno, con le strisce verticali e il verde dalla parte dell'asta, fu necessario attendere il Risorgimento e le guerre d'indipendenza. La bandiera del Regno d'Italia (1861-1946) fu caricata nella striscia bianca centrale dello stemma sabaudo, sormontato da corona o meno, a seconda che si trattasse di un drappo rappresentativo dello Stato oppure civile. Nel 1943, dopo l'armistizio dell'8 settembre, il tricolore disadorno (cioè privo dello stemma) fu adottato da varie entità e gruppi partigiani che lo caricarono con il rispettivo simbolo di riferimento. La Repubblica Sociale (1943-1945) ebbe in uso due versioni del tricolore: una disadorna, identica a quella poi adottata dalla Repubblica Italiana nel 1946, e una caricata di un'aquila e di un fascio littorio, in uso alle sole forze armate.

Gli anni della Rsi coincisero con la divisione del Paese e con la guerra di liberazione, l'evento che più d'ogni altro ha dilaniato la penisola e il suo popolo, gettando le basi per la futura polarizzazione della politica in Italia. Ancor oggi paghiamo le conseguenze di questa feroce contrapposizione che riscontriamo in ogni bega di cortile che anima la nostra quotidianità e la nostra noiosa vita politica. La riscontriamo nella reazione della gente quando in una caserma dei Carabinieri di Firenze fa capolino una bandiera del Reich guglielmino e questa viene bollata come simbolo nazifascista a prescindere, senza conoscerne il significato né la storia; lo riscontriamo quando ogni dibattito tra deputati finisce in caciara, riducendosi a una semplicistica quanto anacronistica contrapposizione tra «rossi» e «neri»; come se dagli anni '40 del secolo scorso non fosse cambiato nulla, come se il tricolore italiano non fosse mai stato piantato sulla cima del K2 o portato più in alto ancora, nello spazio, da sette astronauti; come se non ci fossero mai stati il boom economico, il raggiungimento di standard di vita invidiabili e quei trionfi sportivi che - almeno quelli hanno unito e fatto inorgoglire.

L'antifascismo è la pietra angolare sulla quale la Repubblica Italiana è stata costruita, ma forse sarebbe ora di voltare pagina e guardare avanti. Sarebbe bello se le parole di Gentiloni sopra riportate si traducessero in una maturazione civile da parte di tutti. Nell'anno in cui, per la prima volta dal 1958, la nazionale italiana di calcio non parteciperà alla fase finale di un mondiale, si potrebbe forse cominciare ad apprezzare la bandiera nella sua essenza: non già come un simbolo di parte (nazionalista o populista, come piace dire alle sinistre), bensì un simbolo italiano tout court, distintivo della storia del Paese e di tutti. Un simbolo distintivo di ogni partito, ceto sociale, minoranza linguistica e religiosa che abbia svolto un ruolo nella costruzione dell'Italia di ieri e di oggi. Come ha detto ieri il premier a Reggio Emilia, «a nessuno può essere consentito di usare il tricolore come vessillo di odio. Deve essere il vessillo del nostro Paese impegnato per il dialogo e la pace, e il vessillo dei nostri valori sanciti dalla Costituzione e quanto mai attuali».

Parole belle, ma destinate a perdersi al vento: quello stesso vento nel quale la nostra bella bandiera dovrebbe garrire senza timori.

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