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Si va verso i supplementari

Tante le incognite dopo le elezioni. E Mattarella spera che le condizioni cambino. Il primo segnale? Le dimissioni di Renzi

Si va verso i supplementari

Dal messaggio di fine anno nel quale si era limitato ad auspicare una «grande partecipazione al voto», Sergio Mattarella aveva preferito astenersi da qualunque commento avesse a che fare con le elezioni o con i possibili scenari post voto. Dal 31 dicembre, non una parola in proposito. Fino a ieri, quando a quattro giorni esatti dalla chiusura delle urne ha deciso di fare la sua prima mossa ufficiale, con un monito alla responsabilità che è rivolto a tutti i partiti, nessuno escluso.

D'altra parte, il capo dello Stato sa bene che lo stallo è totale e che sarà un'impresa provare a districare una matassa tanto fitta. Ecco perché, consapevole che la partita è ancora lunga e che di qui ai prossimi mesi possono cambiare condizioni e scenari, Mattarella ha deciso di mettere nero su bianco il suo appello alle forze politiche affinché si pensi «all'interesse del Paese». Insomma, se davvero si vuole cercare una soluzione al rebus, secondo il Quirinale è necessario che i partiti sgombrino il campo da pregiudizi e pregiudiziali. Questo significa che Luigi Di Maio e Matteo Salvini - i due vincitori di queste elezioni - dovrebbero essere disponibili a fare un passo indietro magari lasciando la premiership a figure più unificanti, mentre il Pd deve abbandonare l'ipotesi dell'Aventino e mettersi in discussione per sostenere, magari dall'esterno, un'eventuale maggioranza. Anche perché lo scenario che era stato immaginato in queste ultime ore in ambienti vicini al Quirinale di coinvolgere tout court i dem in un esecutivo a Cinque stelle sembra al momento essere naufragato. All'appello del Colle, però, sembra avere risposto con convinzione solo Silvio Berlusconi, pronto a «fare di tutto per scongiurare le elezioni». D'altra parte, che il leader di Forza Italia - come pure il Pd - non abbia alcuna fretta di tornare alle urne non è un mistero per nessuno.

Più complessa la posizione di Salvini, che si dice pronto a «chiedere sostegno al nostro programma in Parlamento», ma «senza accordi organici». Una posizione che sembra più formale che sostanziale, visto che il leader della Lega è ben consapevole di quanto una simile strada sia difficilmente praticabile. Senza contare che se si tornasse al voto di qui a un anno Salvini potrebbe consolidare definitivamente la sua leadership nel centrodestra. D'altra parte, non è un caso che nelle sue conversazioni private il fidato Giancarlo Giorgetti non faccia mistero del fatto che «Matteo non contempla alcun governo che non lo veda a Palazzo Chigi», neanche se fosse guidato da Luca Zaia o Roberto Maroni. Anzi, qualche dubbio lo avrebbe anche nel caso di un esecutivo Salvini, perché significherebbe avere in maggioranza una pattuglia corposa di ex M5s e Pd.

Sul Colle, però, la sensazione è che la partita non sarà affatto breve. Ed è proprio su questo che punta Mattarella, nella speranza che con il passare delle settimane (e forse dei mesi) le condizioni vadano cambiando. Un primo segnale è atteso per lunedì, quando le dimissioni di Matteo Renzi saranno formalizzate alla direzione del Pd. Per i dem, infatti, sarà l'inizio di un percorso nuovo che potrebbe favorire scenari nuovi. Ma il vero appuntamento che può indirizzare in una direzione o nell'altra le trattative sul governo è l'elezione del presidente del Senato, il 23 o il 24 di marzo.

Un'eventuale intesa tra M5s e Lega per «dividersi» le presidenze di Montecitorio e Palazzo Madama sarebbe infatti un segnale da non sottovalutare.

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