Economia

La pietra tombale sulla Renzinomics

La pietra tombale sulla Renzinomics

Le previsioni dell'Unione europea sull'economia dimostrano in modo chiaro il fallimento della «Renzinomics», ossia la politica economica e finanziaria renziana. Infatti l'economia europea nel 2017 crescerà mediamente dell'1,6% e nel 2018 dell'1,8% mentre quella italiana, in coda alle altre aumenterà dell'0,9 nel 2017 e dell'1,1 nel 2018. Noi siamo l'ultimo vagone dell'Europa a due velocità, soprattutto perché la Renzinomics ha fallito. Il fallimento principale è quello della riforma del mercato del lavoro, che non ha risolto il problema della disoccupazione. Nel 2013 sia nell'Unione europea che in Italia la disoccupazione era il 12%; nel 2016 nella Ue è scesa all'8,5%, nel 2017 scenderà all'8,1 mentre nel 2018 sarà il 7,8%. In Italia essa nel 2016 era l'11,7% e nel 2017 scende solo di un millimetro all'11,6%, mentre nel 2018 scenderà di due millimetri all'11,4%. Con questo passo di tartaruga, dovuto al fiasco del Jobs Act, i giovani in Italia non riescono a trovare lavoro, non mettono su casa, la domanda di consumi ristagna. Invece, come scrive la Commissione europea nell'Unione nel suo complesso è proprio la domanda interna di consumi, connessa all'aumento dell'occupazione a costituire un motore importante di crescita, assieme alla ripresa degli investimenti e al ribasso del deficit del bilancio pubblico e del debito pubblico che danno fiducia al risparmio, alle banche, al credito. Sarebbe però errato attribuire la ripresa europea interamente a questi tre motori, connessi fra loro. Infatti ce n'è un altro, che spiega perché non solo l'economia dell'Europa, ma anche quella dell'Italia, migliora, sia pure in coda. Si tratta della politica monetaria della Banca centrale europea, che ha dato carburante all'economia con il basso tasso di interesse. Esso ha stimolato il credito e ha fatto abbassare il tasso di cambio dell'euro a un livello che è ancora alto, rispetto a quello che rispecchia una situazione normale della bilancia corrente dei pagamenti, ma che è meno alto di prima, quando eravamo in deflazione. Noi in Italia abbiamo beneficiato della politica monetaria espansiva di Draghi, perché essa ha aiutato anche da noi a dare una spinta, sia pure minore, all'investimento; ha aiutato le nostre banche in grave difficoltà (specie Montepaschi) a non fallire. Ha dato allo Stato oberato da un debito eccessivo, un ribasso dei tassi di interesse che ha consentito a Renzi di ridurre il deficit di 0,3 punti. Ciò, però, mentre ha continuato a largheggiare in bonus e a non monitorare le spese fuori controllo, che sono molteplici, a tutti i livelli. E l'Italia ha potuto anche beneficiare di una maggior domanda estera sul mercato europeo, a causa di questi fattori. Naturalmente questo ultimo beneficio non è piovuto dal cielo, perché è stato ottenuto dalle nostre imprese di esportazione. Non è gratuito come quello che ha avuto lo Stato, che ha risparmiato sui tassi di interesse sul debito pubblico, non per merito proprio, ma per il ribasso del costo del denaro dovuto alla politica monetaria della Bce. L'orizzonte del 2017 in Italia è oscurato dall'incertezza politica, che deriva non già dal fatto che non si sa quando ci saranno le elezioni e chi le vincerà, ma dal fatto che gli operatori economici temono che ci siano elezioni anticipate che impediscono la manovra correttiva che l'Italia deve fare nel pubblico bilancio. Essa serve a ribassare al 2% il deficit e a evitare un aumento del rapporto fra debito pubblico e Pil che è già arrivato al 132,8% nel 2016. E potrebbe arrivare al 133,3 nel 2017. Ciò, mentre nella media europea scende dall'86,5 all'86,2%. Sarebbe un grosso errore fare la nostra manovra correttiva tassando i prodotti petroliferi, ora che il petrolio aumenta all'origine. Le compagnie petrolifere ne approfitterebbero per fare ritocchi al rialzo indebiti. Il governo Gentiloni deve decidersi a fare quel che Renzi non ha fatto: controllare e limare le spese compresi i bonus elargiti da Renzi. La Renzinomics va mandata in soffitta. E con essa va mandata in soffitta l'idea che votare subito serva a voltar pagina. Bisogna saper guardare in faccia la realtà, cosa che Renzi non ha fatto.

Per voltare la pagina bisogna prima avviare a soluzione i problemi economici.

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