Cronache

"Le spose bambine sono vittime del nostro silenzio"

Il portavoce dell'Unicef in Italia: "La denuncia del Giornale ci deve far agire: non si tollerano costumi che giustifichino violenze sui più deboli"

"Le spose bambine sono vittime del nostro silenzio"

RomaSpose bambine, costrette a tornare dall'Italia nel proprio Paese di origine ancora minorenni per unirsi in matrimonio con uomini sconosciuti e molto più anziani. «L'inchiesta del Giornale ha acceso la luce su un fenomeno purtroppo ancora invisibile che l'Unicef prende l'impegno di affrontare». Andrea Iacomini, portavoce dell'Unicef Italia, riconosce la necessità di intraprendere iniziative decise anche in in Italia per combattere una tragica realtà ancora nascosta.

L'impegno dell'Unicef nei Paesi dove il fenomeno dei matrimoni precoci è drammaticamente presente ha forse distolto l'attenzione da quanto sta accadendo anche qui in Italia e in Europa?

«Noi abbiamo un mandato preciso che è quello di raccogliere fondi e promuovere campagne per proteggere dalla violenza i bambini fuori dai confini italiani, in aree del mondo dove le donne sono escluse dalla scolarizzazione e dove le gravidanze precoci causano ogni anno 70.00 morti premature tra 15 ed i 19 anni. Ma sicuramente i dati pubblicati dal Giornale non ci possono lasciare indifferenti e impongono attenzione su un fenomeno ancora invisibile perchè non è mai stato monitorato in modo sistematico».

Non è proprio questo il problema: la mancanza di attenzione?

«Pur non essendo questo il nostro mandato non c'è dubbio che la denuncia del Giornale ci stimola ad agire. Dobbiamo attivarci per capire che cosa accade nel nostro Paese e come intervenire su una realtà ancora sommersa come abbiamo già fatto con l'indagine sui minori che vivono in povertà».

Si parla di bambini italiani?

«Sì. Due milioni e mezzo di bambini vivono in povertà relativa ovvero non riescono a fare almeno un pasto al giorno con carne o pesce e soffrono gravi deprivazioni. Così come abbiamo messo in luce questa realtà di privazione potremmo affrontare anche il fenomeno dei matrimoni precoci».

Come individuare per poi combattere una violenza che si consuma all'interno delle famiglie?

«É un lavoro difficile. Occorre coinvolgere i comuni, gli enti locali e le associazioni per creare una rete di ascolto ed intessere un dialogo con le famiglie, ascoltare la comunità, essere presenti. Lo stesso lavoro che in condizioni diverse facciamo nei Paesi dell'Asia meridionale e dell'Africa subsahariana dove il fenomeno è imponente. Nel 2020 rischiano di salire a 142 milioni matrimoni forzati con i minori».

Ma come impedire ad un padre di tornare in Turchia o in Pakistan per poi costringere lì la propria figlia ad un matrimonio forzato?

«La risposta è l'integrazione. So che questa proposta non è condivisa da molti ma credo che la cittadinanza alle seconde generazioni sia la chiave per farli sentire veramente italiani. Diventare cittadini italiani è un passo fondamentale per acquistare la consapevolezza dei propri diritti. Il conflitto generazione tra figli “italiani“ e genitori con una cultura diversa è inevitabile. Il primo vaccino per combattere la violenza è l'istruzione ed è per questo che quando Malala ha rivendicato il suo diritto all'istruzione ha fatto così paura ai talebani. E nel mondo ci sono 31 milioni di donne escluse dalla scolarizzazione».

Spesso viene chiesto di accettare e tollerare costumi e pratiche distanti delle nostre in nome del rispetto di culture diverse. Ma dove è il limite?

«La violenza è un limite chiarissimo, non può mai essere accettata. Padri e madri che fanno uso della violenza sulle loro figlie ne devono rispondere davanti alle leggi italiane.

Il prossimo obiettivo di sviluppo deve essere la cancellazione della violenza sulle bambine».

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