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Spread in calo, addio complotti

E scoppia il caso banche

Spread in calo, addio complotti

L'immagine è un po' macabra, ma il «rimbalzo del gatto morto» rende bene l'idea di quello che è successo ieri a Borsa e spread. Il listino che ha chiuso a +1,9% a quota 19.039, e lo spread calato di 13 punti da 311 a 298, sono una piccola consolazione rispetto a sei mesi fa, quando l'indice di Piazza Affari stava a 24mila e lo spread sotto il livello 120. Da allora sono andati male anche mercati robusti come il Dax tedesco (-15%). Ma nessuno come Milano (-21%) o con uno spread a quota 300.

Il rimbalzo di ieri ha una spiegazione: sul mese di ottobre pendeva la spada di Damocle delle agenzie di rating. Ebbene, la spada ha tagliato meno delle peggiori previsioni: prima Moody's ha declassato di uno invece che due «tacche» il suo rating; poi S&P ha fatto anche meglio, limitandosi a peggiorare la prospettiva, ma non il rating. Per ognuna di queste evenienze sarebbe derivato un certo livello dello spread: il doppio declassamento avrebbe portato oltre i 350. Così, invece, si dovrebbe stare tra 250 e 300. Per Di Maio e Salvini è una bella lezione: la demonizzazione delle agenzie di rating, accusate di tramare per sovvertire l'ordine democratico, si scioglie come neve al sole: non sono le agenzie che alzano lo spread, bensì semplici meccanismi di mercato (che in questo caso l'hanno abbassato).

Ora però, dopo le forche caudine del rating, ci aspettano gli stress test bancari della Bce, il 2 novembre. Perché lo spread, anche tra 250 e 300, resta troppo alto, mettendo le banche italiane a rischio: l'appuntamento di venerdì è il prossimo passaggio delicato. Tanto che ieri il presidente Conte ha chiesto al ministro dell'Economia Tria «scenari di intervento» a sostegno delle banche, in caso di necessità. Peccato che nessun banchiere, tra quelli interpellati ieri dal Giornale, abbia capito di cosa si tratti: la normativa europea, il famoso bail in, vieta i salvataggi di Stato; né sembra praticabile una ricapitalizzazione della Sga (quella che ha comprato 18 miliardi di crediti delle Banche Venete): dove si prendono i soldi? Per quanto riguarda la fusione tra istituti, questa dipende dai loro azionisti privati, non certo da Tria. Resta l'emissione di garanzie sui crediti da cartolarizzare (Gacs), già sperimentate da Padoan. Ma con quelle, in caso di crisi, si fa poco o niente.

La realtà è che questo delle banche è un altro bluff del governo. Una scusa per prendere tempo. O magari per inventarsi, già da venerdì, un qualche nuovo nemico. L'unico piano B è quello di scrivere una manovra più rigorosa.

Viceversa gli scenari peggiori sono solo rimandati.

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