Cronache

Una stella contro Cinque

Non è un abbaglio di Natale. La prossima campagna elettorale sarà una questione tra Grillo e Berlusconi

Una stella contro Cinque

La prossima campagna elettorale sarà tutta una questione di stelle. Non è un abbaglio dovuto alle luminarie di Natale o un pensiero che affonda nel nostro immaginario primitivo, quello che regola sogni e desideri. Per essere chiari, la prossima campagna elettorale sarà tutta una questione tra Grillo, che di stelle ne ha dovuto scomodare cinque, e Berlusconi, che è lui stesso una stella, nel senso antropologico ma anche pop di Star. Vediamo perché.

Ho dovuto rileggere il grande libro di Bobbio per capire se destra e sinistra siano qualcosa di più oggi di un'indicazione geografica, e mentre si discute, strumentalmente, dell'improbabile ritorno del fascismo, nelle democrazie occidentali irrompe sulla scena un'altra dicotomia: quella fra l'alto e il basso. Come dicono i politologi anglosassoni, fra i pochi che hanno sempre più potere (powerful) e i troppi che hanno sempre meno possibilità (powerless). In questa seconda fascia si collocano la rabbia, la disoccupazione, l'assenza del futuro, l'insicurezza. L'idea di non poter incidere in quanto cittadini sulla cosa pubblica. In questa zona d'ombra ci sono quelli del non voto: perché andare alle urne se chi mi rappresenta non cambia la mia situazione e anzi fa solo i suoi interessi? In questa zona ci sono i populisti, che non sono una degenerazione linguistica del popolo, ma quelli che non credono più nella democrazia rappresentativa. Qui si colloca l'antipolitica, o per eccesso, la politica che la cavalca. Qui si colloca il successo «nazionale» dei grillini.

Ho messo in evidenza il termine «nazionale», perché nessun tecnico riesce a spiegare bene come mai nessuna cattiva amministrazione locale, anche se si tratta di Roma, nessuna gaffe geografica, storica, grammaticale, sposta in basso il consenso generale del Movimento. Inutile dire tutti i giorni che la Raggi è come l'albero di Natale che lei ha voluto, Spelacchio ma già spelacchiato, anzi morto. Inutile dire che sono complottardi e che credono più agli alieni che agli effetti dei vaccini. Gli incazzati sempre lì sono.

Dall'altra parte, senza soffermarci ora per l'ennesima volta sui guai di Renzi o su uno spappolamento della sinistra che è materia soprattutto per i linguisti (democratici, progressisti, liberi e uguali, sembra un immenso senso di colpa per le dittature del Novecento), c'è Berlusconi.

Anche qui nessun tecnico ha saputo spiegare bene il ritorno di fiamma tra gli italiani e il Cav. Molto si è già detto, il ritorno dei maturi, la credibilità, l'esperienza, la dimostrazione ormai condivisa che nel 2011 ci fu una macchinazione non democratica per farlo cadere, la sopravvivenza straordinaria alle ossessioni della magistratura che anche l'opinione pubblica ormai giudica tali. Ma io voglio seguire il filo del mio ragionamento.

Berlusconi nasce politicamente nel 1993-94, sulle macerie della Prima Repubblica sventrata da Tangentopoli. È l'uomo del fare, dell'imprenditoria, che occupa il buco della politica ormai sopraffatta dal giudiziario. È, per eccesso dialettico, la prima forma di antipolitica che diventa politica, tanto è vero che ingloba con alterne fortune l'urto anti-istituzionale della Lega di Bossi. Il potere giudiziario, che oggi si camuffa dietro Grillo, ha ingaggiato con quell'homo novus un duello mortale.

Oggi il mondo però ha altri problemi globali, una crisi economica lunga e violenta, l'onda storica dell'immigrazione dai Paesi poveri, la rivoluzione tecnologica che ha cambiato e cambierà per sempre il mercato del lavoro e il nostro modo di vivere. Ci vogliono risposte serie e pragmatiche. L'iperdemocrazia non rappresentativa di Casaleggio padre non è realizzabile ma affascina quelli della zona d'ombra sopra descritta, e sono tanti. Più di vent'anni dopo, però, la stella di Berlusconi brilla ancora. Ci sono da un lato le sue qualità personali, quelle che fanno una star nella semantica profonda del termine, dall'altro il fallimento dei cosiddetti quarantenni sul piano delle riforme economiche e della macchina dello Stato.

Insomma il Cav si ritrova ad essere l'unico politico italiano che ha metabolizzato l'antipolitica in un progetto ancora politico e può attrarre così, oltre ai suoi, chi fino ad ora ha disertato le urne. Il mio maestro Eduardo diceva che una stella nel cielo è il pensiero di un uomo che non si è realizzato. Basta afferrarla e portarla sulla Terra, fra di noi, fra le nostre paure, fra i nostri desideri.

La sfida è appena all'inizio.

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