Cronache

Tra storia e attualità, l'odissea delle sepolture musulmane al sud

I comuni pugliesi non sono ancora preparati di fronte alla questione dell'inumazione di musulmani sul territorio italiano

 Tra storia e attualità, l'odissea delle sepolture musulmane al sud

Le sepolture islamiche in Italia sono un problema e, al Sud, lo sono ancora di più. I comuni pugliesi, in particolare, non sono ancora preparati di fronte alla questione dell'inumazione di musulmani sul territorio italiano. Secondo il Corano i fedeli non possono essere sepolti nei cimiteri cristiani.
“Abbiamo proposto un test ad alcuni migranti ed il risultato è che è avvertita la mancanza un cimitero islamico”, ha dichiarato a IlGiornale.it Simona Fernandez, presidente dell’associazione Salam, Ong di cooperazione con i popoli del bacino del Mediterraneo.

“La laicità della legge italiana – continua Fernandez – prevede la possibilità, per gli appartenenti a tutte le religioni, di essere sepolti secondo il proprio rito. Le comunità ebraica ed indù nel tempo hanno stipulato degli accordi con lo stato italiano per gestire all’interno degli ambiti cimiteriali esistenti, spazi idonei alla sepoltura rispetto al loro credo. Inoltre – conclude – I musulmani e gli ebrei hanno le stesse modalità di inumazione, quindi ci si può avvalere della convenzione ebraica per dare degna sepoltura anche ai musulmani in mancanza di un'intesa fra lo stato italiano e la comunità islamica nazionale.” Entrambe le religioni prescrivono che la salma del defunto sia avvolta in un sudario e seppellita nella terra.
In Puglia, il primo paese a preoccuparsi del problema delle sepoltura islamiche, è stato Gioia del Colle (Bari). L'ex sindaco Longo, spingendo verso una progressiva integrazione sul territorio, nel 2013 ha inaugurato uno spazio nel cimitero monumentale del paese. Secondo i dettami della religione musulmana, gli spazi di inumazione sono stati scelti considerando la proiezione verso sud-est che la testa del defunto deve tenere, guardando verso La Mecca.
“Ma è solo per i musulmani residenti nel paese” ci informa Simona Fernandez. E gli altri? A pensarci con un progetto da quattro milioni di euro è la Calabria, in particolare Tarsia, un paese in provincia di Cosenza, con poco più di due mila abitanti. Conosciuto storicamente per essere stato il più grande campo di internamento fascista italiano (in termini numerici) per ebrei, apolidi, stranieri nemici e slavi. “Non c’è nessun finanziamento – si difende subito il sindaco, Roberto Ameruso, a dispetto delle notizie di stampa – è solo un’idea che ha avuto una grande eco mediatica. Non si tratta di un cimitero musulmano, ma di un cimitero laico per dare degna sepoltura ai naufraghi del mare. Un gesto di umanità e, allo stesso tempo, di solidarietà nei confronti dei Comuni dove attraccano le navi con a bordo i naufraghi. Gli immigrati morti in mare devono essere sepolti nel centro dove attracca la nave che li ha portati e, purtroppo, molti cimiteri sono saturi. Ci auguriamo che il nostro progetto possa reperire fondi della Regione, del ministero dell’Interno e dell’Unione Europea. Abbiamo avuto già richieste di donazioni autonome da parte di un medico di Bologna e un’impresa del settore sanità è pronta ad effettuare gratuitamente alcuni lavori.” Un progetto ambizioso quello di Tarsia che, per adesso, è solo carta, a detta del sindaco.

Nulla a che fare con le isole Tremiti dove, nel 1987 il sindaco emerito Peppino Calabrese diede degna sepoltura ai duecento prigionieri libici mandati nel foggiano durante la guerra del 1911-1912 per la conquista della colonia. Un mausoleo rivolto verso la Mecca abbassò il dito minaccioso che Gheddafi, secondo fonti di stampa, puntò contro le isole come risarcimento per i crimini di guerra degli italiani all’inizio del secolo. “Abbiamo dato dignità ai libici seppelliti nella fossa comune mai riconosciuta fino alla costruzione del mausoleo eretto su un terreno sconsacrato e consacrato secondo il rito musulmano con i nomi delle persone seppellite” ha dichiarato a IlGiornale.

it Peppino Calabrese, sindaco emerito delle isole Tremiti, concludendo: ”Abbiamo dato loro dignità”.

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