Economia

La strada liberale della flessibilità

La strada liberale della flessibilità

Con i decreti per l'Ape volontaria (l'anticipo pensionistico), si apre una nuova stagione nel rapporto tra cittadini e sistema previdenziale. Che diventa flessibile. E il giudizio sostanzialmente positivo e trasversale che accompagna questo provvedimento governativo, insieme con le 300mila domande volontarie stimate, sono un buon indice del livello di comprensione dei moderni meccanismi pensionistici e della flessibilità che, per l'appunto, vi si può associare: sempre più elevato nelle varie rappresentanze sociali.

Infatti, al di là del merito tecnico del provvedimento stesso e dei tanti problemi che risolve la componente sociale dell'Ape, quello che conta è che nel Paese passa un principio ormai ineludibile. Un meccanismo di calcolo della pensione con il quale è bene che gli italiani prendano confidenza perché non ne esisterà mai più un altro.

Il punto è questo: la pensione non può essere altro che l'erogazione di un capitale accumulato nell'età lavorativa, da distribuire al suo legittimo avente diritto in tante rate annuali (divise poi per 12 o 13 mensilità) quanti sono gli anni residui della sua vita. Vale a dire la differenza tra l'età pensionabile e l'aspettativa di vita. Quest'ultimo è l'unico dato che non si conosce, ma è facilmente approssimato dalla statistica ed è in costante crescita. È la sintesi del sistema contributivo. Ogni meccanismo di calcolo diverso da questo genera debito pubblico e non esiste più.

Entrato questo concetto nella testa degli italiani, allora si può ragionare su eventuali forme di flessibilità, come per esempio l'Ape. La cui genesi e la successiva forte spinta, va ricordato, sono dovute al presidente dell'Inps Tito Boeri, il cui obiettivo era quello di abbassare la tensione sociale sia sul fronte del lavoro, sia su quello previdenziale dopo che la legge Fornero aveva alzato, in un colpo solo e dall'oggi al domani, l'asticella dell'età pensionabile di circa cinque anni. Per farlo bisognava introdurre meccanismi di flessibilità, ma anche trasferire agli italiani il concetto contributivo, non ancora del tutto scontato.

Solo così la flessibilità diventa una scelta consapevole. Un'opzione che, se esercitata, permette di andare in pensione prima dell'età di vecchiaia, ma inevitabilmente con un importo inferiore. Che non è un «taglio», o un qualcosa che implica comunque la sottrazione di un valore di cui si aveva il diritto. Quante volte abbiamo sentito esprimere questo concetto errato? Invece no: è semplicemente un ricalcolo, perché: lo stesso capitale accumulato con i contributi viene suddiviso in un numero maggiore di anni. Ed è un'operazione che produce un risultato - la pensione annuale e quindi mensile - ovviamente più basso. Matematica elementare.

Per questo l'Ape, soprattutto nella sua forma volontaria, è un primo passo verso un sistema pensionistico libero e liberale. Un sistema che ha come limite astratto la flessibilità assoluta: ognuno versa i contributi previdenziali che vuole quando lavora. E poi decide come vuole incassarli quando smette di lavorare. Naturalmente in un sistema reale, complesso e articolato, alcuni vincoli (età, annualità di contribuzione, anzianità) sono indispensabili per far funzionare la macchina previdenziale.

Ma la tendenza introdotta dall'Ape è quella giusta.

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