Strage a Nizza

La strage dei bimbi che guardavano il cielo

Sulle spalle di papà i fuochi d'artificio si vedono meglio. Poi la folla stragista si porta via tante giovani vite

La strage dei bimbi che guardavano il cielo

Due bambole a terra. Ed è viva solo quella finta. Dal telo isotermico esce un pezzetto di testa avvolta in uno straccio insanguinato. E vicino non c'è nessuno. Morta sola. «Devo consegnare gelati». Ed è strage dei bambini. La più grande dall'inizio di questa follia. Due chilometri di sangue e cadaveri e teli blu. In ospedale non c'è più spazio nelle sale delle autopsie. Almeno dieci piccini morti sulla Promenade des Anglais di Nizza, altri due più tardi, nella notte, sotto i ferri, in ospedale, altri cinquantaquattro feriti e ricoverati, alcuni «in urgenza assoluta» a lottare fra la vita e la morte e un numero imprecisato ammassato tra il nosocomio Pasteur e la caserma Auvare in attesa di ritrovare i genitori o di essere ritrovati.

I passeggini vuoti sull'asfalto appiccicoso, gli happy meal accartocciati ai bordi dei marciapiedi, perché prima si mangiava e si rideva e si succhiavano le bibite con le cannucce e si teneva per mano la mamma o si stava sulle spalle di papà che da lì i fuochi si vedevano meglio.

Che sulle spalle del papà il cielo è più vicino. Poi il camion lanciato a tutta velocità, gli spari, la folla che ti travolge scappando, la presa della mamma che si allenta, le mani che si sganciano e ci si perde, che è l'incubo nell'incubo. E strappati via si muore alla festa del 14 luglio, in Francia, a Nizza. Le torce fluorescenti a terra, le scarpe da ginnastica abbandonate e quelle minuscole biciclette rovesciate in mezzo alla strada come precoci relitti.

La vita interrotta a ottanta chilometri all'ora. Lo sgomento, il tanfo della paura che allarga le narici e scende in gola e alla fine lascia afoni. E infatti è una fuga muta e surreale e senza meta. Perché non si sa dove correre quando non si sa cosa sta accadendo. E non si sa dove nascondersi quando non si sa cosa aspettarsi. E da dove e da chi.

Un neonato di diciotto mesi smarrito e ritrovato dopo ore nella sua carrozzina blu, grazie a un disperato appello su Facebook, una donna che partorisce in spiaggia durante «l'attacco», mentre crivellano il camion per fermarne la corsa assassina: lei diventa mamma e intanto un sacco di altre donne smette di esserlo.

Nella stessa maledetta notte. Il flutto delle onde ignaro a pochi metri e i corpi stesi sulla Promenade, immobili e freddi sotto ai lampioni. E una bambina accasciata a terra, con una maglietta gialla e il sangue che le esce dalla bocca. E una ragazza magra con la coda di cavallo che le afferra una spalla, ma non la guarda, è voltata indietro in cerca di aiuto e un'altra donna velata le sorregge le gambe, se le mette in grembo.

O se le rimette, in grembo. Vai a sapere da chi arriva l'abbraccio, magari l'ultimo, in una notte così. Quando l'unica cosa che si vorrebbe vedere sono gli occhi della propria madre. Perché quelli fanno passare anche le pallottole e il sangue che esce dalla bocca e le ruote che ti squarciano e il terrore e la morte.

E poi un altro corpo, caduto sull'asfalto di faccia. I polpacci rovesciati, i pantaloni corti e le scarpe da tennis ben allacciate. C'è una transenna di gomma a coprire il resto.

Anche se non c'è più resto. Avranno sì e no dieci anni quelle gambe. Stavano crescendo e invece finiscono lì. Si sono sbucciate l'ultima volta sull'asfalto della Promenade.

E poco più in là un uomo, un uomo grosso con le spalle curve dal dolore, accanto a due piedi nudi che fanno capolino da un asciugamano rosa. Chissà chi c'è sotto. Chissà chi ha sconfitto la vita sotto quel brandello di spugna sgargiante che poche ore prima ha avvolto e scaldato un corpo vivo. Salsedine e sangue. Sale e lacrime.

E la rabbia, che è salata anche quella. Perché l'islamismo, o qualche altra follia, stavolta si è preso ancora più vita. «Devo consegnare gelati».

Ed è la strage dei bambini.

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