Cronache

Varese, la violentò e poi la uccise: "Credeva, non doveva concedersi"

In una lettera anonima alla famiglia di Lidia Macchi il racconto sconclusionato della notte dell'omicidio. Il colpevole è stato fermato dopo 30 anni

Varese, la violentò e poi la uccise: "Credeva, non doveva concedersi"

Fu la prima volta, in Italia, in cui si ricorse al test per rilevare l'impronta genitica - così allora erano chiamati i test sul Dna -. Fu anche grazie a questo nuovo elemento applicato all'indagine che si giunse all'identificazione dell'assassino di Lidia Macchi, studentessa uccisa nel 1987 a vent'anni a Varese.

Soltanto oggi, a quasi trent'anni dai fatti sono scattate le manette per Stefano Binda, ex compagno di liceo della Macchi, su cui peserebbero "gravi indizi di colpevolezza". L'uomo avrebbe prima stuprato la ragazza e poi l'avrebbe uccisa, convinto che il suo "credo religioso" le avrebbe dovuto impedire di "concedersi" a quella violenza.

Sia la Macchi che Binda, di un anno più piccolo, frequentavano ambienti di Comunione e liberazione. Il 5 gennaio del 1987 lui, questa la ricostruzione dei fatti, avrebbe costretto la ragazza a un rapporto non consenziente, dopo essere salito in macchina con la ragazza nel parcheggio dell'ospedale di Cittiglio, nel Varesotto, dove lei si trovava per fare visita a un'amica.

Da lì i due avrebbero raggiunto un bosco poco distante, dove lui avrebbe stuprato Lidia, per poi ucciderla a coltellate. Lidia Macchi sarebbe morta per le numerose ferite e per asfissia, in una "notte di gelo", come si leggeva in una lettera inviata alla famiglia della vittima alcuni giorni dopo.

Sarebbe stato Binda a inviare ai genitori della ragazza quelle parole, scritte in stampatello su un foglio bianco, e dal significato piuttosto confuso. A riconoscere la mano dietro alla lettera anonima una donna che all'epoca dei fatti era amica della Binda e che fu colpita dalla "grafia", che gli era parsa "familiare". "Stefano è un barbaro assassino", scrisse poi lui in un foglio ritrovato in un'agenda in casa sua.

Il testo della lettera

"In morte di un'amica La morte urla contro il suo destino. Grida di orrore per essere morte: orrenda cesura, strazio di carni. La morte grida e grida l'uomo della croce. Rifuto, il grande rifiuto. La lotta la guerra di sempre. E la madre, la tenera madre con i fratelli in pianto.

Perchè io. Perchè tu. Perchè, in questa notte di gelo, che le stelle son così belle, il corpo offeso, velo di tempio strappato, giace. Come puoi rimanere appeso al legno. In nome della giustizia, nel nome dell'uomo, nel nome del rispetto per l'uomo, passi da noi il calice. Ma la tetra signora grida alte le sue ragioni.

Consumatus est questo lo scritto dell'antichissimo errore. E tu agnello senza macchia e tu agnello purificato che pieghi il capo timoroso e docile, agnello sacrificale, che nulla strepiti, non un lamento. Eppure un suono, persiste una brezza ristoro alle nostre aride valli in questa notte di pianti. Nel nome di Lui, di colui che cui ha preceduto, crocifissa, sospesa a due travi.

Nel nome del Padre sia la tua volontà".

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