Cronache

Quel bacio contro i pregiudizi che sfidò le paure di un'epoca

Quel bacio contro i pregiudizi che sfidò le paure di un'epoca

Una combinazione rara. Il grande scienziato che è un uomo ancora più grande. E un talento multiplo che deborda, straripa, non si ferma in corsia o nello studi dello specialista - e lui era un infettivologo, un allergologo, un immunologo di livello internazionale - ma prosegue al telefono, nelle piazze, in tv e nei libri. Ovunque. Fernando Aiuti, scomparso tragicamente ieri, era l'autore di circa 600 pubblicazioni scientifiche ma era noto a milioni di italiani per il suo impegno nella lotta all'Aids. Il suo bacio davanti alle telecamere a Rosaria Iardino, una ragazza sieropositiva, è un colpo di genio contro il pregiudizio e per la prevenzione, ma è anche qualcosa in più: il manifesto di una professione in cui contano, o dovrebbero contare, anche la dedizione, il sacrificio, il coraggio, forse in certi momenti una punta di temerarietà.

Quel bacio in bocca arriva nel 1991 quando la malattia è una condanna a morte, accompagnata da feroci superstizioni. Del resto il virus si era presentato in Europa due anni prima, nell'89, negli orfanotrofi di Bucarest dove il regime in disfacimento di Ceausescu assisteva impotente alla morte di frotte di bambini. Nessuno sapeva prendere le misure a quella forma contemporanea di peste, ma Aiuti aveva invece il physique du rôle per contrastare il contagio e il corteo di paure che lo accompagnava.

«In quel periodo - racconta al Giornale il figlio, Alessandro Aiuti, a sua volta aiuto primario di immunoematologia pediatrica al San Raffaele - mio padre era andato negli Stati Uniti e aveva visto i primi malati che nessuno sapeva bene come curare. Capì subito che il virus agiva con gli stessi meccanismi rilevati anni prima, quando si era concentrato sulle malattie genetiche del sistema immunitario. Fu una svolta in quel disastro: al ritorno in Italia papà fu fra i primi a riconoscere l'Aids e contemporaneamente a preoccuparsi per sbarrare la strada all'Hiv».

Ecco il bacio a Rosaria che oggi lo saluta: «Per alcuni di noi sarai eterno». Ecco la fondazione dell'Anlaids, la Lega per la guerra all'Aids. Ecco le conferenze nelle scuole per dare informazione e cancellare cupe leggende metropolitane. Il tutto mantenendo la cattedra di medicina interna e un grappolo di incarichi prestigiosi alla Sapienza di Roma. Si può dire, azzardando un paragone, che Aiuti stava all'Aids come Veronesi al cancro. Due generali che hanno vinto molte battaglie anche se le guerra, su tutti e due i fronti, è ancora in corso.

«Alla fine - riassume Alessandro Aiuti, trattenendo a stento le lacrime - papà era un maestro di vita, una persona attenta al malato, china sui suoi bisogni. E nel tempo questa passione, questa condivisione del dolore era diventata un tesoro di esperienza da mettere al servizio del prossimo sofferente». Come don Gnocchi che davanti al dolore innocente dei mutilatini non aveva alzato il muro del cinismo ma aveva costruito un'opera portentosa di carità.

Un pioniere e a suo modo un apostolo: era nato a Urbino nel 1935 ed è morto a Roma, al Policlinico Gemelli dove era ricoverato per una grave patologia al cuore. Questo non gli ha impedito di andare avanti con le sue ricerche e la sua curiosità fino alla fine. Ma fra tanti, troppi impegni, Aiuti aveva trovato pure il tempo per infilare altre avventure: nel 2008 era stato eletto come capolista per il Pdl al Campidoglio. Praticava la vela, lo sci, il nuoto. E negli ultimi tempi, quando poteva, correva dai sei nipoti. Forse la gioia più grande in una vita densa come un'enciclopedia. Fino alla caduta dalle scale.

Stefano Zurlo

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