Cronache

Quella tolleranza che apre la porta a tutti gli orrori

La salvaguardia dei ragazzi dalla droga non può sottostare al diritto alla privacy

Quella tolleranza che apre la porta a tutti gli orrori

Confermato dalle telecamere di sorveglianza un attivo giro di spaccio all'interno del romano liceo Virgilio, il 22 marzo scorso sono intervenuti i Carabinieri arrestando, giusto mentre consegnava dietro compenso la «roba», un diciannovenne con precedenti penali per traffico di stupefacenti. Una vittoria della legalità? Un successo delle misure a tutela degli studenti, facili vittime dei maneggi dei pusher? Un punto a favore nella lotta contro organizzazioni criminali di stampo mafioso? Non per tutti, non per Francesca Valenza, mamma di un ragazzo del Virgilio e rappresentante nel Consiglio di Istituto. Intervistata dalla Repubblica, ella si è detta assolutamente contraria alla presenza e figuriamoci ai «blitz da Far West» delle forze dell'ordine all'interno dell'istituto così come alle telecamere piazzate nel cortile del liceo. Se proprio l'Arma deve intervenire, precisa Valenza, lo faccia «nel rispetto dello spazio educativo e della privacy». E cioè solo dopo una autorizzazione del Consiglio di Istituto (che così abbia tempo di informare i ragazzi che il tal giorno alla tal ora arrivano gli sbirri).

In quanto ai modi, pur se colto in flagranza, lo studente spacciatore va «convocato in un'aula e fatto un colloquio privato invece di quell'azione plateale», intendendo l'arresto. Circa le telecamere, la signora Valenti si dice contraria perché la loro presenza «trasforma le scuole in bunker». Quando invece i ragazzi devono «vivere la scuola come un luogo aperto». Aperto allo spaccio se ne deduce, almeno da come la mette la signora Valenti. Aperto a una attività criminosa che lei ritiene debba essere contrastata esclusivamente con le armi del «dialogo», con la ricerca «di uno spazio di confronto».

Nel pensiero di questa battagliera rappresentante della società civile la salvaguardia dei ragazzi, dei figli dal flagello della droga capitola dunque alla preminenza del diritto alla inviolabilità della privacy, che nel nostro caso può tradursi nello spaccio e nel consumo in santa pace. Lo stesso assunto che spinse Tim Cook a rifiutare di sbloccare l'iPhone del terrorista di San Bernardino perché la privacy di un terrorista morto conta più della sicurezza nazionale. O del procuratore Armando Spataro, il quale afferma che poiché «la privacy è un valore» nella guerra al terrorismo non devono essere ammesse leggi speciali che possano profanarla (legge speciale, per intenderci, sarebbe quella di imporre ai «migranti» che giungono sui nostri lidi di farsi prendere le impronte digitali. Procedura di identificazione alla quale, stante la legge ordinaria, essi possono rifiutare di sottoporsi).Poter liquidare tutto questo fervore civile come una semplice sbronza di politicamente corretto sarebbe già di conforto.

Ma non è così, purtroppo: sotto sotto s'avverte distintamente vibrare la passione giacobina e sovversiva per la delegittimazione dell'autorità, sia quella che sia. E del suo potere di emanare atti vincolanti per i cittadini. Per dirla in due parole, il sessantottino «vietato vietare».

Anche di drogarsi, anche di spacciare, anche di tener nascosta l'identità dell'orda migrante. Anche che un macellaio jihadista faccia il suo sporco lavoro?

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