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Tre problemi per la Lega

I punti deboli di Matteo: la crisi economica, l'alleato di governo fragile e la resistenza politica di Berlusconi

Tre problemi per la Lega

Lunedì pomeriggio, mentre le urne in Sardegna decretavano l'ennesimo crollo elettorale dei 5 stelle, nel Transatlantico di Montecitorio, Pierluigi Castagnetti ex segretario dei popolari, nome illustre del centrosinistra, nonché habitué del Quirinale per via dell'amicizia con il capo dello Stato riportava un po' l'atmosfera che regna sul Colle: «I grillini hanno tante similitudini con l'Uomo Qualunque di Guglielmo Giannini. Cosa faranno? Il governo li consuma troppo. Non resisteranno a lungo. Finiranno per scegliere l'opzione Bertinotti, cioè andranno all'opposizione per sopravvivere». Un'analisi che sembra quasi un auspicio, quella di Castagnetti, cioè di un personaggio che ha la stessa forma mentis di Mattarella: del resto è difficile immaginare che, dopo il neutralismo su Maduro, i vertici con l'ala estremista dei gilet gialli e i vaffa a Macron, la simpatia che sul Colle molti nutrivano verso il movimento, a cominciare dal segretario del Quirinale, non si sia esaurita. Fin qui la politica estera, se poi si passa all'economia non c'è da stare allegri: è evidente, infatti, che se non c'è una metamorfosi nei comportamenti pentastellati, ci sono molti dubbi sulla possibilità che questo governo sia in grado di affrontare la «crisi». E l'uscita del ministro Tria, con la benedizione del Colle, sulla Tav, cioè sull'esigenza di non dare l'impressione che gli accordi internazionali in Italia siano scritti sull'acqua, è un ulteriore segnale a Di Maio e soci.

Il «Di Maio sulla graticola», però, è una spina nel fianco anche per Salvini, che persegue lo schema del governo gialloverde, sempre e comunque. Il leader della Lega non ha patemi elettorali, specie dopo i trionfi in Abruzzo e Sardegna, e con i sondaggi che lo danno ancora sopra il 30 per cento. Detto questo, l'immagine dell'abbraccio tra lui e Giggino, tra il vincitore e lo sconfitto, chiusi sempre più soli dentro la torre d'avorio di Palazzo Chigi, con Giuseppe Conte in ostaggio, travolti dall'insolito destino di difendere insieme una linea sempre più insostenibile, non lo aiuta. Tutt'altro. Salvini resiste, tetragono: nessuna crisi, niente elezioni, nessuna riedizione del centrodestra. Almeno in pubblico, nel suo orizzonte c'è solo questo governo e questa maggioranza. Addirittura il personaggio si mostra generoso con l'alleato ferito: il rinvio dell'esame del provvedimento sulla legittima difesa alla Camera è un modo per evitare di spargere altro sale, con un provvedimento ostico, sulle ferite grilline. E i suoi lo assecondano. «Noi siamo glocal da sempre», taglia corto il viceministro all'Economia, Garavaglia, per superare la contraddizione tra l'alleanza nazionale con i 5 stelle e quelle locali con il centrodestra. Ma è un atteggiamento poco convinto. Pieno di dubbi, che solo la religione dell'obbedienza al capo esorcizza. La paura del «contagio», cioè del rischio che la sempre più marcata impopolarità dei 5 stelle si trasferisca anche sulla Lega, è immanente. «Dobbiamo fermarci un attimo prima del precipizio confida il leader dei giovani, Andrea Crippa , altrimenti finiamo nel burrone con loro». «Con questi non andiamo da nessuna parte», rincara Riccardo Marchetti. Mentre il capogruppo dei deputati, Riccardo Molinari, per dare un senso all'alleanza, ricorre anche ad argomentazioni psicologiche, pre-politiche. «Intanto spiega c'è l'amicizia con Di Maio. Poi, nell'iconografia di Salvini, l'immagine di mantenere la parola data è importante. Resta, però, il problema del contagio, che dobbiamo tenere d'occhio: se le cose non si fanno, a cominciare dalla Tav, per un po' la nostra gente riusciremo a tenerla buona dando la colpa ai grillini, ma prima o poi ne chiederanno conto anche a noi». Dubbi che traspaiono anche nella base del partito. Se fino ad un mese fa la stragrande maggioranza degli elettori leghisti era schierata a difesa dell'alleanza con i grillini, oggi secondo un sondaggio della maga Alessandra Ghisleri la percentuale è scesa al 53 per cento. Se poi si allarga il campo all'elettorato dell'intero centrodestra, il 51 per cento vorrebbe un esecutivo con dentro Salvini, Berlusconi e la Meloni, il 40 per cento sarebbe contrario e il restante indeciso.

Altra «spina» per Salvini è la destabilizzazione in atto nei 5 stelle: la leadership di Di Maio regge o non regge? Ieri l'attuale leader del movimento si è autoblindato: «Durerò ancora quattro anni». Ma dalla sconfitta di domenica è venuto meno anche il tabù di chi considerava la sua leadership indiscussa. «In una squadra di calcio che perde continua a ripetere la senatrice Nugnes si cambia il mister». Mentre il presidente dell'antimafia, Nicola Morra, che da mesi prevedeva un epilogo drammatico, si limita a dire: «Io ho la sindrome di Cassandra». In ultimo, alla strategia di Salvini sta venendo meno un altro caposaldo. «La sua scommessa osserva Ignazio La Russa di portare alle Europee Forza Italia sotto l'8 per cento e noi sotto la soglia del 4 per cento, il sogno egemonico per dire il centrodestra sono io, sta fallendo». Basta fare due conti sulle elezioni sarde: ad esempio, se si somma la percentuale di Forza Italia con le altre tre liste centriste presenti nella coalizione, si arriva al 21 per cento. Altro segnale sono le primarie per le comunali a Bari e Foggia vinte da Forza Italia. Mentre Salvini si radica a destra e il Pd targato Zingaretti succhia consensi ai grillini a sinistra, Forza Italia ha la possibilità di aggregare forze dell'area moderata: addirittura il candidato forzista che ha vinto le primarie a Bari, Pasquale Di Rella, proviene dal Pd. Insomma, lo spazio c'è, ora bisogna vedere se per le europee Silvio Berlusconi riuscirà a federare tutti i soggetti in campo. Di sicuro non c'è più l'atmosfera di qualche mese fa, quando il nuovo bipolarismo targato Lega e 5 stelle sembrava ineluttabile. Con il crollo dei grillini, i vecchi poli centrodestra e centrosinistra stanno tornando di moda. E vengono meno le paure. «A noi spiega il vicecapogruppo alla Camera degli azzurri, Roberto Occhiuto addirittura converrebbe andare a elezioni politiche ad ottobre: con Berlusconi ancora in campo, il 12 per cento sarebbe a portata di mano. E poi avremmo grandi carte da giocare».

Così, in questa situazione in pieno movimento, con le certezze di un tempo che vengono meno, i fautori dello status quo gialloverde si preparano a un lungo assedio. «Qualche grillino racconta un leghista di primo piano ora sarebbe disposto anche ad accettare Giorgetti all'Economia, per stabilizzare il governo. È un'ipotesi, ma se alle Europee i 5 stelle andassero sotto il 20 e noi superassimo il 30 per cento, si può risolvere tutto con un Conte bis? Difficile».

Calcoli e congetture che dimostrano come la rosa della vittoria elettorale del Salvini gialloverde sia piena di spine.

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