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"Tutti i grandi alla mia scuola Mi è mancato solo Federer"

Il rapporto con Agassi, papà Williams, la micidiale Seles: il fondatore della storica Academy del tennis si racconta

"Tutti i grandi alla mia scuola Mi è mancato solo Federer"

Otto mogli, sette figli («due adottati in Etiopia»), quattro nipoti, centinaia di giovani tennisti allenati e decine portati al successo: Nick Bollettieri, 84 anni, fondatore dell'Academy più famosa della storia del tennis, l'allenatore di Andre Agassi, Jim Courier e Monica Seles è a Milano per presentare la sua autobiografia, Cambiare gioco (Mondadori).

Come ha deciso di fondare l'Academy?

«Quando ero al militare, fra i volontari del corpo dei paracadutisti, io e i miei compagni volevamo essere là, perché pensavamo di essere i migliori. Poi un grande allenatore di football, Vince Lombardi, mi ha detto che ero bravo coi bambini. Siccome giravo per i campi degli States, ho pensato di aprire un posto per accogliere i giocatori: è stata la prima accademia sportiva del mondo. Una cosa totalmente nuova, era il '78».

Perché John McEnroe ha detto che lei «non capisce niente di tennis»?

«Lo ha detto, ma molti anni dopo ha mandato suo figlio Sean all'Academy. E l'estate scorsa, quando mi hanno dato l'anello della Hall of Fame, ha dichiarato: “Quest'uomo con conoscenze limitate ha cambiato il gioco”. Detto da John è un grande complimento, e perciò è diventato il titolo del libro».

Perché tanti la criticano?

«C'è una parola, invidia. Ho fatto cose che tutti dicevano non si potessero fare».

Ma il suo metodo era davvero così rigido?

«All'inizio in effetti era un po' militaresco. Ma c'erano ragazzi da tutto il mondo, ero quasi spaventato... Ora che l'Accademia è proprietà della Img è più come un college».

Courier e Agassi erano all'Accademia insieme. Com'erano sul campo?

«Molto competitivi».

Troppo?

«Beh loro volevano solo le palline, le racchette e le borse di studio per rimanere gratis all'Academy. È grazie alla competizione fra i più bravi che ho avuto dieci numeri uno».

Agassi ha parlato dell'Academy come di una prigione.

«Perché gli studenti non potevano fare quello che volevano. Ma l'estate scorsa alla Hall of Fame Andre ha mandato un messaggio in cui diceva: “Se non fosse per Nick non sarei qui”. Andre era un battitore libero, ma io l'ho sempre difeso perché sapevo che un giorno sarebbe stato speciale».

Vi siete lasciati male?

«Gli ho scritto una lettera anziché volare a Las Vegas e spiegargli di persona le mie ragioni. È stato un grosso errore. Ma oggi siamo di nuovo amici».

Difende anche suo padre?

«Certo. Se non fosse stato così rigido non credo che Andre avrebbe giocato a tennis e non sarebbe mai arrivato dov'è».

E Richard, il padre delle sorelle Williams?

«Ah, il migliore. Un pazzo come me. Fino a 14 anni non ha mai fatto partecipare le figlie a un torneo: tutti lo criticavano, ma i record parlano per lui. E ci tengo a dire una cosa: io non ero l'allenatore di Venus e Serena, ero parte del team Williams, il coach era lui».

La vittoria più grande?

«Wimbledon nel '92, con Agassi. E poi il programma Ashe-Bollettieri nelle città, per allenare gratis i bambini senza possibilità economiche».

Il migliore che ha allenato?

«Tutti, e tutti diversi. Becker era molto disciplinato, Monica Seles colpiva una quantità di palline, Jim Courier un grande lavoratore, Agassi era speciale, la Sharapova molto disciplinata, Martina Hingis fortissima di testa, la Jankovic un'atleta eccellente, Venus e Serena Williams - che posso dire?»

La delusione più cocente?

«Marcelo Ríos, la prova che il talento da solo non basta».

Un campione che avrebbe voluto allenare?

«Roger Federer. E un ragazzo come Nadal».

I campioni del futuro?

«Kei Nishikori: è la nostra prossima speranza. Sabine Lisicki ha tutto il talento per essere fra le migliori, ma deve lavorare sulla testa».

Che cosa pensa del tennis italiano?

«Fognini è un intrattenitore. Ha molto talento, potrebbe essere fra i primi dieci del mondo se fosse più forte mentalmente. Manca di disciplina».

E le donne?

«Ho molto rispetto per loro: Errani, Vinci, Pennetta, Schiavone sono delle combattenti. Mi ricordano la mia Raffaella Reggi: non molto talento ma un cuore enorme. Una vera guerriera.

Per questo è sempre speciale per me».

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