Cronache

Tutti vaccinati o niente asilo Idea illiberale, ma da imitare

Tutti vaccinati o niente asilo Idea illiberale, ma da imitare

Si faceva a gara a chi arrivava per primo a scuola. Abitavamo tutti e tre vicini di casa, e la corsa incominciava dal portone di quella di Robertino. Pronti, via; veloci per le calli e su per i ponti di Venezia, e Robertino già a metà strada era primo. Si faceva la quinta elementare, in quei lontani anni Cinquanta. Poi, un giorno, quella corsa non si fece più: il nostro compagno di classe veloce come la luce era sparito, nessuno ci diceva dove fosse finito, e a noi non piaceva gareggiare sapendo di avere qualcuno più veloce di noi che non si faceva vedere. Era quasi un'umiliazione, come se Robertino si fosse scocciato di avere dei contendenti tanto scarsi come noi. Ma perché non veniva più a scuola? Lo abbiamo rivisto dopo qualche tempo con le stampelle. Addio corse, addio salti sulle barche ormeggiate lungo la riva dei canali: neppure una semplice camminata. Robertino era stato rovinato dalla poliomielite. Allora il vaccino non lo avevano ancora inventato.

Questa premessa per dire che tutte le volte che sento gli sproloqui contro i vaccini, non tanto mi arrabbio, quanto mi vengono le lacrime agli occhi ripensando al mio vecchio compagno di giochi, tanto veloce e tanto sfortunato.

Le polemiche sulla validità o pericolosità dei vaccini è un argomento di discussione che sempre trovo arrogante e ignorante da parte di chi filosofeggia sui rischi delle vaccinazioni, e tanto più ascolto questo becero filosofeggiare tanto più mi convinco che al mio bambino farei fare tutti i vaccini possibili e immaginabili.

Ma sono anche uno di quelli che s'infastidisce non poco quando lo Stato, le amministrazioni pubbliche mi impongono qualcosa da fare, qualche obbligo da rispettare che riguarda la sfera della mia vita privata. Replico dicendo tra me e me che sarò io responsabile delle scelte sull'orientamento della mia vita e quella dei miei famigliari. E, infatti, vivo come sopruso l'imposizione dell'autorità che mi dice cosa debbo fare. Credo anche che questo sia un atteggiamento corretto che, da un lato, responsabilizza la persona, dall'altro, cerca, per quanto sia possibile, di limitare l'ingerenza statale nella vita privata del cittadino.

Adesso - proprio mentre si diffonde il panico per i recenti casi di meningite e per il rischio di contagio - arriva la decisione dall'alto: chi non si vaccina non entra a scuola o all'asilo. Così viene deliberato dalla Regione dell'Emilia Romagna e, presumibilmente, a ruota da altre amministrazioni regionali, in primis il Lazio. Una presa di posizione che coerentemente dovrei sentire come un'intrusione nella mia vita privata: se estendessero questo obbligo alla scuola media, mi troverei ad obbedire per non lasciare mio figlio a casa. Ma il fatto è che mio figlio ha fatto tutti i vaccini e che, per quanto mi riguarda, l'eventuale obbligo è già stato rispettato con largo anticipo.

C'è però qualcosa da aggiungere. In deroga alle mie convinzioni liberali, per cui meno lo Stato o il Pubblico s'impiccia dei fatti miei e della mia famiglia meglio sto, le amministrazioni regionali hanno fatto benissimo. Una cosa è difendere le proprie libertà personali da invadenze stataliste, altra cosa è la difesa della collettività dall'ignoranza che può portare danno non solo a una persona ma a tutta la collettività, cioè, nel caso, ai piccoli che frequentano gli asili e le scuole elementari. Chi, nel tempo, ha avuto la pazienza di seguirmi, conosce il mio punto di vista sempre diffidente sulle sorti fantastiche della ricerca scientifica.

Ma i vaccini sono la salvezza di tanti bambini: se il mio vecchio amico Robertino avesse avuto a disposizione il vaccino contro la polio, ora camminerebbe senza fatica coi suoi nipoti.

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