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Ucciso un altro nero: l'America sull'orlo della guerra civile

La carneficina di Dallas è il segnale di un salto di qualità nello scontro

Ucciso un altro nero: l'America sull'orlo della guerra civile

Micah Xavier Johnson, venticinque anni finiti nel sangue suo e delle sue cinque vittime, è e resterà il primo cittadino americano di pelle nera che, dopo aver combattuto per il suo Paese con l'uniforme del suo Paese e le decorazioni militari guadagnate sul campo, ha rivolto la canna del suo fucile contro i concittadini bianchi. Bianchi in quanto bianchi. Poliziotti bianchi colpevoli di stare dalla parte degli assassini della gente nera.

Quello di Dallas non è stato un grave, deprecabile incidente, come ha cercato di sostenere il presidente Obama, ma il primo segnale di un salto di qualità. Gli americani con la pelle di un colore, sentendosi attaccati dagli americani di un altro colore, iniziano una guerra civile. Ci saranno degli imitatori di Micah Johnson? Lo vedremo presto e vedremo presto se e che cosa saprà fare il prossimo presidente degli Stati Uniti, si chiami Donald Trump o Hillary Clinton. I due candidati sono stati stretti sulle loro posizioni: la Clinton ha scaricato tutta la colpa sulle armi che si trovano troppo facilmente e Trump ha battuto i pugni sul tavolo gridando che con lui presidente una cosa del genere non sarebbe mai successa.

Provo a descrivere quel che io ho visto in 25 anni di vita e frequentazione americana per cercare di capire se e come la spirale di Dallas può essere interrotta. Punto primo: il razzismo esiste ed è assolutamente bilaterale, se si parte dai livelli di istruzione e sociali più bassi. Nel Sud gli afroamericani sono più sottomessi ai bianchi rispetto al nord, come retaggio della schiavitù e poi della segregazione che fu vinta con l'uso dell'esercito dal presidente Lyndon Johnson, successore di Kennedy. Ma il terreno degli scontri più violenti è quello delle periferie e dei ghetti in cui più del 90 per cento dei morti di pelle nera viene ucciso da killer di pelle nera. Negli ultimi dieci anni si sono armati anche i bambini, man mano che si espandeva a macchia d'olio il mercato della droga, specialmente della cocaina. Andare a scuola a dieci anni con la pistola in tasca è sempre più frequente e la maggior parte delle scuole pubbliche ha dovuto installare dei metal detector.

Molti poliziotti sono di loro natura razzisti e cercano di provocare i neri anche quando guidano. Internet si è riempita di video in cui si assiste a vere e odiose persecuzioni di cittadini neri, anche donne, per spingerli a reagire e poter estrarre la pistola o almeno il teaser, la pistola elettrica che stordisce e può provocare un infarto. Negli Stati Uniti le polizie sono decine e ognuna agisce secondo le sue regole, abitudini e pregiudizi. Questo vale talvolta anche per reparti neri della polizia. Ma in genere i poliziotti bianchi sono terrorizzati all'idea di essere chiamati a svolgere servizio di notte durante le sparatorie fra adolescenti neri che usano un'infinita quantità di caricatori e creano un volume di fuoco incontrollabile. Molti poliziotti sono stati istruiti a uccidere: se vedete che la situazione è grave, che la vostra vita è in pericolo e che avete davanti a voi dei violenti armati, sparate per neutralizzare. È diventato un riflesso condizionato.

Adesso abbiamo il contro riflesso condizionato: il riflesso di Micah Xavier Johnson che è morto per uccidere dei poliziotti bianchi. Migliaia di giovani neri hanno ricevuto il suo messaggio e si preparano ad agire nello stesso modo. La maggior parte degli afroamericani è terrorizzata dalla pericolosa piega perché teme l'escalation, una impennata di violenze contro le quali finora la politica, l'amministrazione Obama non è stata in grado di far nulla. La cosa più amara di cui è necessario tener conto, è che il razzismo è purtroppo un fenomeno naturale. La reazione al razzismo è un fenomeno culturale, fatto di educazione e di addestramento al rispetto reciproco, ma mai come negli Stati Unti d'America ci si può rendere conto della terribile spontaneità del razzismo e del suo selvaggio istinto.

Che va, come è facile constatare, nei due sensi. Creare e mantenere vive delle aree di reciproco rispetto è un'arte americana in cui si sono cimentate tutte le amministrazioni dello scorso secolo. Ma è un dato di fatto che l'amministrazione di Barack Obama, un uomo certamente sensibile, colto e naturalmente elegante anche nella scrittura, non soltanto non ha fatto un passo avanti, ma ne ha fatti parecchi indietro. «Una nazione divisa, unita nel lutto» titolava ieri il Wall Street Journal che preferiva riportare le parole dello speaker del Congresso, il repubblicano Paul Rayan, piuttosto che quelle di Trump: «È stata una lunga settimana per il nostro Paese. Un lungo mese per l'America. Abbiamo visto cose terribili e senza senso».

Quasi tutti i politici parlano dell'«insensatezza» dell'accaduto, tacendo la vera natura oscura della tragedia di Dallas: purtroppo non c'è nulla di insensato, ma un terribile passaggio militare e ideologico. Tutta la comunità nera d'America chiama i suoi membri all'ordine, alla disciplina e al rifiuto della violenza.

Il deputato John Lewis ed altri membri neri del Congresso si sono riuniti in un «caucus nero» per implorare la polizia di Dallas e i cittadini neri di tutti gli Stati Uniti a non cedere alla tentazione di imitare Johnson: «Qualsiasi cosa decidiamo di fare, che sia ordinata, pacifica e segua la tradizione della non violenza», è stata la parola d'ordine.

Ma il terrore della guerra civile è sui volti di tutti, specialmente degli americani di pelle nera.

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