Sgarbi quotidiani

Il valore di un consenso

Il valore di un consenso

La questione del voto di scambio in Sicilia è sempre affrontata con criteri approssimativi. Se fosse vero che il deputato regionale Gennuso ha comprato voti a 50 euro, non sarebbe voto di scambio, ma compravendita di una merce ritenuta senza valore. E di cui non si comprende la natura di diritto. Si può vendere o rinunciare a un diritto? Sì. Se non serve. Cosa me ne faccio del diritto di andare a pescare se non sono pescatore? Per questo chi ha venduto voti, li ha considerati merce insignificante, di cui potersi liberare. Il voto di scambio non presuppone un acquisto, ma la promessa di favori, che potrebbero essere interessanti per una persona (ma un voto è troppo poco), per una associazione, per una società; e quindi anche per la mafia, ma non necessariamente e non esclusivamente. Vendere il voto vuol dire ritenere che valga né più né meno quegli euro che si sono ottenuti. Se poi a questo miserabile commercio si vuole dare il nome di mafia, dipende dal teatro in cui si conviene rappresentare la mafia. In realtà una cosa è un mafioso, una cosa è uno che ha la faccia da mafioso. Qual è il reale potere di Gennuso? E si può chiamare mafioso chi vende 500 voti a 10mila euro? La mafia è questo? E gli affari miliardari dell'eolico e del fotovoltaico, che richiedono complicità politiche, e che hanno sfigurato la Sicilia, come li chiamiamo? Gennuso ha la potenzialità criminale di un rubagalline. E il suo peso politico nell'Assemblea regionale è sempre stato insignificante. L'arresto, con la conseguente sopravvalutazione dell'attuale inchiesta, è il punto più alto raggiunto dal suo potere.

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